Cronache dai Palazzi

Circola l’ipotesi di una manovra correttiva dopo che Bruxelles ha annunciato il taglio delle stime di crescita del Pil. L’economia italiana, sulla scia dell’intera economia europea, fa fatica ad uscire dalla stagnazione. La Commissione europea ha per l’appunto limato le stime prevedendo per il 2024 una crescita pari ad un limitato 0,7%, mentre a novembre le previsioni attestavano un +0,9%. La previsione per il 2025 (1,2%) resta invece invariata. Inferiore al dato stimato in precedenza anche la crescita relativa al 2023, in quanto lo scorso anno il Pil italiano è cresciuto dello 0,6% mentre la precedente stima aveva previsto uno 0,7%. Una frenata causata in primo luogo dal calo dei consumi privati e dal rallentamento degli investimenti a causa dell’aumento dei costi di finanziamento, e della graduale eliminazione del Superbonus.

In definitiva le previsioni economiche d’inverno della Commissione europea risultano allineate alle previsioni del Fondo monetario internazionale, che prevede un aumento del Pil italiano dello 0,7% nel 2024 e dell’1,1% nel 2025, e dell’Ocse (+0,7% nel 2024 e +1,2% nel 2025). Un taglio delle previsioni anche da parte dell’Ufficio parlamentare di bilancio, che ha stimato un +0,8% per quest’anno e un +1,1% l’anno prossimo, mentre gli obiettivi indicati nella Nadef da Palazzo Chigi a fine settembre erano +1,2% per il 2024 e +1,4% per il 2025. Obiettivi sui quali è stata in seguito costruita la legge di Bilancio.

I risultati al ribasso hanno di fatto complicato il percorso dei conti pubblici a discapito di una realtà non semplice da gestire. Un Pil più basso rende in effetti più arduo il rientro del debito e penalizza il deficit dal quale dipende in sostanza un’eventuale manovra correttiva. Cauto il commissario Ue per gli Affari economici, Paolo Gentiloni, che puntualizza: “Non è mai modo di agire della Commissione parlare di manovre correttive tanto meno di fronte a cambiamenti dello zero virgola”. Il commissario Gentiloni ha inoltre sottolineato che l’andamento dell’economia italiana risulta in linea con quello della media Ue, per cui il nostro Paese non può più essere considerato il fanalino di coda. “Oggi vediamo che ci sono difficoltà in alcuni Paesi dell’Europa centrale, nei Paesi Baltici che hanno avuto una crescita negativa l’anno scorso. Le crisi attuali investono in modo particolare il modello economico tedesco ma questo non deve distoglierci dall’affrontare i problemi interni in ogni Paese”, ha ammonito il commissario Ue. Previsioni ottimistiche invece per quanto riguarda l’inflazione nella zona euro, inflazione che per quest’anno dovrebbe attestarsi al 2,7% e non più al 3,2%, mentre in Italia dovrebbe fermarsi al 2% in linea con il target Bce. Il graduale rinnovo dei contratti collettivi dovrebbe comportare un generale recupero del potere di acquisto da parte dei lavoratori, ma “l’incertezza rimane eccezionalmente elevata”, ha puntualizzato Gentiloni, in un contesto di prolungate tensioni politiche aggravato dal decorso negativo del conflitto in Medio Oriente, senza sottovalutare il conflitto ancora in corso in Ucraina.

Sul fronte interno in virtù di un emendamento al decreto Milleproroghe approvato dalle commissioni Affari costituzionali e Bilancio della Camera, gli amministratori pubblici avranno altri 6 mesi di scudo erariale e nel caso di colpa grave sarà limitata fino alla fine del 2024. Una proroga che è stata definita “contradditoria e ingiustificata”, per la magistratura contabile, che “avrebbe l’effetto di stabilizzare l’esclusione della perseguibilità delle condotte commissive gravemente colpose, esponendo il Paese al grave rischio di spreco di denaro pubblico, gestioni opache di commesse pubbliche e diffusione del malaffare”. In sostanza “il Paese non ha bisogno di un ulteriore prolungamento di norme temporanee ed emergenziali già più volte prorogate, ma di una riforma seria della responsabilità amministrativa nel pieno rispetto dei principi costituzionali ed eurounitari”, scrive l’Associazione dei magistrati della Corte dei conti in una nota. La norma sullo scudo erariale è tra l’altro sotto esame da parte della Consulta per sospetto di incostituzionalità. Durante la pandemia, nel 2020, era stata adottata come misura di emergenza. Nel corso dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il presidente della Corte dei Conti Guido Carlino ha definito la suddetta norma “non necessaria”. Massima apertura comunque da parte dei magistrati per cui viene detto: “L’Associazione è pronta ad un confronto immediato nell’interesse comune di tutte le parti coinvolte”.

Tra le novità l’approvazione della rimodulazione dell’Irpef agricola che comporta l’esenzione per i redditi più bassi, ciò che aveva ostacolato i lavori in commissione. Fino al 30 giugno gli agricoltori potranno inoltre beneficiare dell’esenzione dell’obbligo assicurativo per i trattori che non circolano su strade pubbliche.

Il decreto definisce anche un altro scudo, lo scudo penale per i medici. Una questione che aveva provocato l’irruzione di due scioperi durante il mese di dicembre 2023. Per di più i medici potranno andare in pensione a 72 anni. Stanziati altri 10 milioni di euro nel 2024 per i disturbi alimentari e circa la stessa cifra per il bonus psicologo, in virtù di un emendamento che è stato approvato. Slittano infine al 2026 i tagli dei fondi a disposizione dell’editoria e, fino al 31 dicembre 2024, i giovani al di sotto dei 36 anni potranno beneficiare di agevolazioni per ottenere il mutuo per la prima casa. Non vi è invece alcuna traccia di una proroga dello smart working per i lavoratori fragili della Pubblica amministrazione, né degli sgravi contributivi totali per l’assunzione di giovani e donne. Infine ci sarà tempo fino al 15 marzo per aderire alla rottamazione quater delle cartelle esattoriali, pagando le due rate non corrisposte nel 2023 e quella in scadenza il 28 febbraio.

“Siamo soddisfatti perché è stato fatto un lavoro molto impegnativo e grande” ha affermato il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, che sottolinea: “Il Milleproroghe è un provvedimento complicato di sua natura”. Il via libera di Montecitorio è atteso lunedì.

In visita a Gioia Tauro la premier Giorgia Meloni lancia e inaugura l’accordo per lo sviluppo e la coesione con il Sud a partire dalla Regione Calabria; circa 3 miliardi le risorse a disposizione. In cantiere anche il progetto del Ponte sullo Stretto che il governo mira a rendere operativo nel 2032. Tra i fondi per la Calabria ci sono infatti “300 milioni di euro destinati per legge alla costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, che molti amano dire non si farà mai”, ha affermato la premier, aggiungendo: “Io sono convinta che impossibile è la parola che usano quelli che non hanno coraggio e non hanno voglia di lavorare, perché per quelli che hanno coraggio e voglia di lavorare le cose di fanno”. Alcuni tra i banchi delle opposizioni hanno a loro volta presentato un esposto in procura, sottoscritto da Elly Schlein per il Pd e da Nicola Fratoianni per Sinistra italiana, chiedendo di indagare sui fondi e sul progetto del ponte. È comunque intenzione dell’esecutivo realizzare l’opera nell’arco di sette anni. Un’opera ingegneristica dotata di sistemi aggiornati e performanti come la protezione attiva e passiva contro il fuoco, il potenziamento di ampi sistemi di monitoraggio e di manutenzione, una maggiore durabilità dei materiali e delle strutture e, tra le novità, la realizzazione di una struttura Smart road con avanzati livelli di assistenza alla guida e di digitalizzazione dell’infrastruttura.

Nella pratica il governo intende mettere a terra “una strategia” per ricostruire il Paese, mettendo “in rete” progetti e investimenti e creando la giusta collaborazione tra i territori e il governo centrale. “Il decreto Sud riorganizza i fondi di coesione, istituisce questi accordi di coesione: i progetti sono proposti dalla Regione e condivisi dal governo nazionale”, ha spiegato il presidente del Consiglio specificando: “Ma non perché vogliamo limitare l’autonomia di un singolo territorio ma perché vanno inseriti in una strategia”, che è “la strategia di cui il Paese ha bisogno”.

“I fondi di sviluppo e coesione sono i fondi principali per combattere i divari tra i territori, tra Nord e Sud, Est e Ovest, anche all’interno dei territori. Quando siamo arrivati al governo ci siamo resi conto che queste risorse in molti casi non si spendevano nella totalità o con enormi ritardi. Non so se una nazione come la nostra può permettersi di non fare arrivare sul territorio fino all’ultimo centesimo che ha a disposizione”, ha ammonito Meloni.

Le risorse a disposizione finanzieranno complessivamente 317 progetti: interventi per migliorare la rete infrastrutturale viaria, per il rafforzamento del trasporto pubblico locale, la riqualificazione urbana e la valorizzazione dei porti, la migliore fruibilità dei beni culturali e turistici, interventi di bonifica e sostenibilità ambientale.

“Si tratta di un importo complessivo di 2,863 miliardi, al lordo dei 300 milioni previsti per il ponte sullo stretto, il più consistente finora assegnato, sulla base di priorità progettuali proposte dalla Regione e condivise dal governo”, ha affermato il ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, che ha accompagnato la premier Meloni a Gioia Tauro. “Vogliamo innescare un processo virtuoso di crescita strutturale seguendo un cronoprogramma ben preciso – ha aggiunto Fitto – a garanzia del miglior utilizzo delle risorse messe a disposizione”. In sostanza si tratta di “un volume di investimenti” che raggiunge i 3 miliardi di euro.

Nel contesto di Gioia Tauro, in sinergia con il fronte nazionale, è ovviamente emerso il tema dell’Autonomia differenziata che continua a creare tanto trambusto in Parlamento; “il senso della riforma è accrescere il Paese da nord e a sud” ha affermato il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli. Con l’Autonomia differenziata “non c’è affatto un tentativo di indebolire ma di rafforzare”, ha ribadito la premier Giorgia Meloni, “consapevoli dell’enorme potenziale del Mezzogiorno”. Occorre “poter contar sulla sfida della responsabilità”, ha ammonito Meloni e, in definitiva, l’Autonomia “non crea un divario tra Nord de Sud ma tra amministrazioni capaci e quelle che capaci non sono state”.

A proposito di migranti, infine, “dobbiamo fare di più tutti quanti”. Già nella giornata di giovedì, ricevendo il primo ministro della Romania Marcel Ciolacu a Villa Doria Phamphilj a Roma, la premier Meloni ha ribadito: “La faccia ce la dobbiamo mettere tutti, non solo io”. Fra pochi mesi rischiamo “di essere inondati” da nuovi flussi migratori, nonostante i buoni risultati raggiunti con la Tunisia.

“L’Africa non è un continente povero, detiene il 60% delle risorse minerarie strategiche. È un continente potenzialmente ricchissimo oggi pressoché sfruttato”, ha affermato Giorgia Meloni da Gioia Tauro. “E mentre qualcuno depreda le risorse che ci sono in Africa, noi siamo quelli che ne pagano le conseguenze tra instabilità e flussi migratori”.

Palazzo Chigi mira “a rendere l’Italia centrale sul Mediterraneo e nei rapporti con l’Africa” per far sì che la nostra nazione “possa essere pioniera in alcune scelte strategiche e tirarsi dietro gli altri, mentre noi spesso abbiamo preferito guardare cosa facevano gli altri e poi inseguirli”, ha aggiunto Meloni. Il nostro Paese può essere invece protagonista “di stagioni e di strategie nuove”, rivelandosi uno dei player fondamentali della società contemporanea e del mondo nuovo, come già sta accadendo e come molto probabilmente si potrà vedere con più chiarezza nel prossimo G7 a presidenza italiana.

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