Se c’è un aldilà sono fottuto (Film, 2019)

Simone Isola e Fausto Trombetta raccontano Claudio Caligari attraverso i suoi film, senza retorica e finzioni, partendo dalle riprese sul set di Non essere cattivo, opera voluta da Valerio Mastandrea, quando l’amico regista era malato terminale. Se c’è una cosa che non si può imputare a Caligari è l’aver girato film inutili, questo documentario fa la storia delle sue tre uniche opere: Amore tossico (1983), L’odore della notte (1998), Non essere cattivo (2015).

Si parte dal set di Non essere cattivo, dai provini con gli attori per scegliere gli interpreti dei personaggi fondamentali: Cesare (Luca Marinelli) e Vittorio (Alessandro Borghi), con i quali bisogna immedesimarsi in maniera totale. Vediamo Caligari malato, sofferente, di poche parole – lo è sempre stato – pretendere il massimo dagli attori, tramite la longa manus di Valerio Mastandrea e di Simone Spada. Il film ricorda le origini lombarde del regista, partito da Arona per andare a Roma per fare a ogni costo il cinema. La madre ricorda che vide Benhur con il padre e da quel giorno s’innamorò del cinema, fino al punto di diventare il suo unico interesse di vita. Un uomo solitario, Caligari, di poche parole, determinato, poco incline ai compromessi, dalle idee chiare. I registi del documentario sfogliano le testimonianze di Nicola Pankoff e di Marco Caramella, che ricordano un Caligari determinato sin dai tempi del liceo, preparato, informato sulla politica, appassionato lettore di giornali, amico di proletari e studenti, autore di brevi documentari sociali.

Amore tossico è un film conosciuto da tutti, ormai, piacque a Marco Ferreri che lo difese a spada tratta contro i molti detrattori, ma è stata la croce da portare per tutta la vita e ha segnato la difficoltà a fare il secondo film, che arrivò solo dopo 15 anni. Amore tossico è un film sulla droga – in particolare sull’eroina e sulla tragedia che ha rappresentato – interpretato da un gruppo di ex tossici che collaborano anche alla sceneggiatura, modificando i dialoghi per renderli più veri. Solo leggende che sul set circolasse droga vera, perché gli attori si iniettavano in vena soluzioni innocue. Un film girato con onestà, come era solito fare Caligari, immergendosi in un ambiente e restituendolo nel modo migliore, rappresentando il degrado e la tragedia storica delle borgate romane, delle periferie urbane, in balia del dramma della droga. Si alternano spezzoni di film a interviste, si passa dall’eroina di Amore tossico alle droghe sintetiche di Non essere cattivo, si raccolgono testimonianze di collaboratori.

Marco Ferreri non fu buon profeta quando disse a Caligari che dopo un capolavoro come Amore tossico (Avrei voluto farlo io!, esclamò) si sarebbe potuto scegliere i film da girare e la sua strada sarebbe stata in discesa. Ferreri litigò persino con Sanguineti e lanciò strali contro la critica paludata che non capiva la grandezza di una pellicola pasoliniana. In realtà il film vinse premi ovunque ma venne nascosto persino a Roma, la stessa Ostia lo vide come un oggetto pericoloso; ci furono dibattiti televisivi dove Caligari e i suoi tossici (alcuni moriranno di Aids) sedevano sul banco degli imputati.

Passarono quindici anni prima di poter girare L’odore della notte, interpretato da Mastandrea e Giallini, altro film molto crudo che ricorda Arancia meccanica e il cinema poliziesco-noir italiano e francese degli anni Settanta, tra rapine violente e assalti in ville di ricchi borghesi. Produce Marco Risi con la sua Sorpasso Film, ma non è un successo perché i temi sono troppo avanti rispetto ai tempi; Caligari resta un autore maledetto, indigesto, nonostante bravura tecnica e spessore intellettuale. Molti i progetti che Caligari non riesce a realizzare, tra questi Anni rapaci (sulla devianza sociale) e il trattamento dal romanzo scandalo Ho 12 anni e faccio la cubista (tema sesso e pedofilia), argomenti troppo duri che il regista non vuol girare in modo edulcorato.

Il documentario è molto toccante nelle sequenze finali, descrive un uomo che sta per morire ma vuole dare l’ultimo ciack (al cimitero), il cinema è la sua unica ragione per continuare a vivere. Il film coinvolge tutta la troupe emotivamente, alla fine attori  e tecnici si sentono orfani di un grande regista che in vita ha avuto un solo torto (o un pregio): non saper scendere a compromessi. Le frasi finali di Mastandrea sono commoventi, Simone Isola e Fausto Trombetta sono bravissimi a valorizzare la recitazione con immagini in dissolvenza che si stemperano in un colpo di scena finale dal sapore comico.

Un documentario che merita il David di Donatello. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Simone Isola e Fausto Trombetta sono molto bravi e non cadono mai nella retorica fine a sé stessa. Visibile su RaiPlay. Non perdetelo.

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Regia e Sceneggiatura: Simone Isola, Fausto Trombetta. Fotografia. Maurizio Calvesi. Montaggio: Mario Marrone. Organizzazione: Paolo Bogna. Musica: Marco De Annuntis. Produttori: Simone Isola, Paolo Bogna. Casa di Produzione: Kimera Film, Rai Cinema, Minerva Pictures. Distribuzione Internazionale. Minerva Pictures. Data di uscita: 1 settembre 2019. Durata: 105’. Genere: Documentario. Interpreti: Claudio Caligari, Valerio Mastandrea, Silvia D’Amico, Marco Giallini, Alessandro Borghi, Luca Marinelli, Francesca D’Aloja, Roberta Mattei, Emanuel Bevilacqua, Fabio Ferzetti, Mario Bonanni, Laura Casalini, Maurizio Calvesi, Giorgio Tirabassi, Simone Spada.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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