Silvia

Volevo non parlare di un argomento che riempie tutti i social, quello della liberazione della ragazza in Somalia. Ne ho lette troppe e molte, moltissime sono dichiarazioni piene di odio.

Alcune persone adorano odiare e questa vicenda è stata servita su un piatto d’argento. Come non odiare una ragazzetta sprovveduta che voleva fare del bene, che voleva solo aiutare i più disgraziati e che suo malgrado è stata rapita da banditi feroci? Poteva fare del bene a casa sua, ho letto, in Italia siamo pieni di poveri.

Ma tralasciando le motivazioni della sua scelta, voi potete solo immaginare la paura? Come si sarà sentita sola al buio insieme a gente che parlava una lingua che lei non capiva? Come saranno passate le sue ore? Scadenzate dal pranzo, dai bisogni fisici, magari dalla pulizia. Sempre con il terrore della violenza, perché lei era solo merce. Chi gliel’ha fatto fare. Vero, poteva non farlo ma alcune persone hanno proprio uno slancio verso i più deboli, vogliono dare un senso alla loro vita. Io la capisco, ho fatto moltissimi anni fa quello che ha fatto Silvia, sono andata con amiche pazze come me in un Paese estremamente insicuro solo per cercare di aiutare donne in serie difficoltà. Siamo state un mese in un posto dove le madri ci mettevano in braccio le loro figlie dicendo: portala con te, dalle un futuro migliore. Ecco, io la capisco Silvia. A noi è andata bene ma abbiamo rischiato con l’attenuante della gioventù.

La Onlus per la quale Silvia era andata in Kenia è Africa Milele (in lingua swahili. Africa per sempre) con sede nelle Marche. La sua presidente è una donna che dopo un viaggio in Kenya nel 2009, in occasione del viaggio di nozze con il marito, si era innamorata dell’Africa e tre anni dopo aveva deciso di fondare la sua Onlus con molti ambiziosi progetti per aiutare lo sviluppo di quei luoghi.

Silvia Romano non era una cooperante, come molti mezzi d’informazione l’hanno definita; non era neppure una volontaria. Alcuni sostengono che il suo primo errore è stato quello di entrare in Kenya con un semplice visto turistico e quindi non dichiarando i suoi scopi di volontariato e assoggettandosi alle norme che tale qualifica comportava. Insomma, un viaggio organizzato come una vacanza; ma non c’erano villaggi turistici ad accoglierla. Poi cosa sia successo lo abbiamo appreso dai giornali.

Ora però trovo due fattori davvero assurdi: primo l’accoglienza. Sapendo bene come funzionano le cose sui social, ben conoscendo i comunicatori e che vespaio c’era pronto, perché non hanno fatto passare la cosa in sordina? Un grande giubilo per il ritorno in Patria ma sarebbe stato meglio niente accoglienze formali, magari con la scusa di evitare assembramenti. Insomma hanno dato un pasto fresco alle tigri dell’odio. E poi quelle foto prima e dopo: prima in short, carina e truccata poi con l’informe abito verde (ma in Somalia le donne non vestono con colori sgargianti?); insomma, due fattori che si potevano evitare. Ma ora, qualunque cosa pensiate, qualunque posizione abbiate, vorrei lasciarvi con una domanda: ma se fosse stata figlia vostra? Ecco, riflettete prima di parlare.

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