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Chomsky e il Principio della rana bollita

Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone” (tratto da Media e Potere di Noam Chomsky).

Nel vasto panorama delle scienze sociali, il “Principio della rana bollita” è spesso evocato per spiegare come persone, comunità e intere società possano adattarsi gradualmente a condizioni sempre più sfavorevoli, che – se imposte bruscamente – verrebbero respinte o apertamente contrastate.

A rendere celebre questa metafora è stato Noam Chomsky, che l’ha utilizzata per descrivere i meccanismi del potere e della manipolazione sociale. Una tesi discussa in ambito politico e sociologico, che mette in guardia dai pericoli dell’inerzia collettiva di fronte a cambiamenti lenti ma profondi. La metafora si rifà a un esperimento – reale o presunto – secondo cui una rana immersa in una pentola d’acqua posta sul fuoco non reagirebbe finché la temperatura sale gradualmente, finendo per morire bollita. Se invece fosse gettata in acqua già bollente, reagirebbe immediatamente, tentando di salvarsi. È proprio la gradualità del cambiamento a ingannare: l’animale si adatta al calore fino al punto di non avere più la forza, né la lucidità, per reagire. L’immagine, tanto semplice quanto efficace, descrive con precisione come in ambito sociale e politico i mutamenti più profondi non avvengano necessariamente con traumi improvvisi, ma spesso attraverso piccoli spostamenti impercettibili: un diritto in meno oggi, una restrizione domani, un linguaggio più aggressivo dopodomani. Nessuno si allarma, nessuno “salta fuori dalla pentola”.

Sebbene l’esperimento sia stato associato a una ricerca condotta nel 1882 alla Johns Hopkins University, il suo valore è soprattutto simbolico. Oggi la metafora è uno strumento concettuale per interpretare le trasformazioni silenziose della società contemporanea. Le analogie con la “Finestra di Overton” sono evidenti: ciò che inizialmente appare impensabile può diventare accettabile – persino desiderabile – se introdotto con la giusta lentezza. Uno degli aspetti centrali del principio, in chiave sociologica, è il fenomeno dell’assuefazione. Le persone tendono ad adattarsi progressivamente a situazioni sempre più difficili, accettando restrizioni, crisi economiche o cambiamenti normativi senza una reazione immediata. A rendere tutto più efficace contribuiscono strategie di comunicazione e manipolazione che presentano il cambiamento come razionale, inevitabile o addirittura rassicurante.

Nel contesto politico, è un meccanismo spesso sfruttato da governi e istituzioni: misure impopolari vengono introdotte a piccoli passi, evitando così proteste o resistenze. Ciò che provocherebbe una reazione violenta se imposto in modo netto, viene invece accettato quasi con indifferenza se proposto in modo graduale. L’ascesa di regimi autoritari ne è un esempio emblematico. Hannah Arendt, studiando i sistemi totalitari del Novecento, sottolineava come la progressiva erosione delle libertà civili – dalla censura alla propaganda, fino al controllo giudiziario – avvenisse spesso in modo così lento da non suscitare allarme nei cittadini, almeno fino a quando la democrazia era ormai svuotata. Anche in ambito economico si osservano dinamiche analoghe. La progressiva flessibilizzazione del mercato del lavoro, con la riduzione delle tutele e dei salari, viene spesso accettata come un destino inevitabile. Condizioni che in passato avrebbero scatenato proteste di massa vengono oggi percepite come “normali”.

Dal punto di vista psicologico, il principio della rana bollita si collega al fenomeno della “dissonanza cognitiva”: le persone, pur percependo segnali di pericolo, preferiscono ignorarli o razionalizzarli piuttosto che affrontare un cambiamento drastico. Questa tendenza è presente in molteplici ambiti, dalle relazioni personali all’ambiente economico, fino alla crisi climatica. Il degrado ambientale, per esempio, avviene così lentamente da non provocare una reazione immediata, nonostante i danni siano sempre più evidenti e spesso irreversibili.

Il principio della rana bollita è, in ultima analisi, un potente monito. Ci ricorda quanto sia facile abituarsi passivamente ai cambiamenti senza accorgerci della loro pericolosità. Nelle scienze sociali è una chiave di lettura essenziale per comprendere dinamiche di manipolazione, assuefazione e resistenza al cambiamento. Solo attraverso la consapevolezza, l’informazione e la partecipazione attiva possiamo evitare di essere “bolliti” lentamente, e preservare la nostra capacità di reagire per influenzare – in meglio – il mondo che ci circonda.

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