Finanza islamica, un’opportunità per la crisi?

Le crisi finanziarie costituiscono un evento ricorrente nello scenario macroeconomico mondiale, alcuni economisti ne hanno contate ad oggi 1622. Tuttavia, la crisi attuale, scaturita dalla pandemia da Covid-19 costituisce la terza vera crisi di tipo sistemico dopo la Grande depressione degli anni Trenta e la crisi cosiddetta “dei subprime” originatasi dal mercato finanziario statunitense nel 2008 e diffusasi a tutte le economie.

La recessione che ha colpito i mercati finanziari ed il settore bancario, innescata dalla crisi finanziaria esplosa, nel 2007, negli Stati Uniti, ha messo in risalto quelli che sono i limiti della finanza tradizionale, imponendo la necessità di pensare a un modello finanziario alternativo al fine di prevenire possibili futuri crolli. Ne sono conseguite le riflessioni condotte dagli studiosi di finanza, sia nazionale che internazionale, sulle strutture economiche dei paesi sviluppati, da cui si è ritenuto di poter trarre modelli finanziari da assumere come potenziali parametri di riferimento.

In questo contesto alcuni analisti finanziari ed esperti del settore hanno avanzato l’ipotesi che la finanza islamica potesse costituire una valida alternativa a quella tradizionale, come proverebbe il fatto che solo l’economia occidentale è stata devastata dalla crisi finanziaria americana, mentre il sistema finanziario islamico non ne è stato minimamente toccato e anzi, per converso, ha continuato a realizzare un considerevole tasso di crescita, mostrandosi impermeabile a qualsiasi crisi generale.

Pertanto, non c’è da stupirsi se in un clima di forte sfiducia nei confronti della finanza tradizionale l’interesse degli investitori si sposti sempre di più verso un sistema finanziario caratterizzato da trasparenza, responsabilità sociale, ridotta speculazione e forte legame con l’economia reale, qual è quello islamico. Ad implementare l’interesse verso strumenti finanziari islamici ed a facilitarne la circolazione in Occidente, inoltre, contribuisce il processo di globalizzazione cui è seguito l’inarrestabile flusso migratorio musulmano verso i paesi occidentali.

La necessità di gestire il denaro in conformità con le prescrizioni del Corano, libro sacro cui guardano oltre un miliardo di fedeli in tutto il mondo, rende la finanza islamica un comparto peculiare e differenziato rispetto ai processi di finanza occidentale «tradizionali». Quest’ultima, infatti, è sostanzialmente laica ed affidata al libero mercato, diversamente, la finanza islamica si basa su principi etico-religiosi.

Differente è il valore assegnato al denaro: nel sistema occidentale esso è concepito come un vero e proprio asset in grado di generare ricchezza, in quello islamico la moneta rappresenta solo un mezzo di scambio.

Rifuggendo l’interesse, il mondo islamico basa il sistema finanziario sul concetto della Shirkah, ossia la condivisione dei profitti e delle perdite di qualsiasi attività imprenditoriale secondo lo schema del profit and loss sharing. La Sharī’a impone, tra l’altro, il divieto di ogni tipologia di transazione finanziaria speculativa.

Le anzidette caratteristiche, portando le istituzioni finanziarie sharī‘a compliant ad allontanarsi dalla figura di “debt holder”, propria del modello convenzionale, per avvicinarsi di più a quella di “equity investor”, hanno prodotto riflessi particolarmente positivi sugli aggregati dell’economia reale, sullo sviluppo e sulla distribuzione del reddito, rendendo di fatto il sistema finanziario islamico immune alla crisi economica del 2008. Queste medesime caratteristiche potrebbero, pertanto, rendere l’Islamic finance immune anche di fronte alla odierna crisi economica, accentuata oltretutto dalla pandemia da Covid 19.

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