
Dieci anni senza Laura Antonelli
Sono passati dieci anni dalla morte di Laura Antonelli e ancora oggi il suo volto affiora con la forza di un ricordo dolce e doloroso, come un fotogramma di un’epoca che non c’è più. Era il 22 giugno 2015 quando la donna che fece innamorare e candidamente svegliare strane voglie a tutta l’Italia si spense in silenzio, lontana dai riflettori, dimenticata da molti, dopo una vita intensa e tormentata.
Laura Antonelli non è stata solo una diva del cinema erotico degli anni ’70. È stata, per un’intera generazione, il simbolo di un desiderio sfuggente, innocente e carnale al tempo stesso. Con Malizia di Salvatore Samperi (1973), entrò nell’immaginario collettivo degli italiani, incarnando la domestica sensuale che smuoveva i turbamenti adolescenziali di un giovanissimo Alessandro Momo. Quel ruolo, tanto celebrato quanto etichettante, fu croce e delizia di una carriera che avrebbe potuto essere molto di più.
Nata a Pola nel 1941, esule come tanti istriani dopo la guerra, Antonelli arrivò al cinema quasi per caso. Dietro la bellezza perfetta, lo sguardo velato, il sorriso malinconico, le curve perfettamente disegnate per il cinema dell’epoca, si nascondeva una donna complessa, riservata, fragile. Il successo le portò notorietà, ma anche esposizione mediatica, giudizi spietati e, soprattutto, una giustizia sbagliata: l’arresto per droga nel 1991 — con una condanna ingiusta, poi ribaltata — fu il colpo da cui non si riprese più.
La parabola discendente di Laura Antonelli fu segnata in modo irreversibile da quella vicenda giudiziaria, quando la polizia fece irruzione nella sua abitazione di Ladispoli trovando 36 grammi di cocaina: scattò l’arresto con l’accusa di detenzione a fini di spaccio. Laura venne incarcerata per undici giorni e poi sottoposta a dieci mesi di arresti domiciliari. L’attrice sostenne che si trattava di detenzione per uso personale in un periodo di particolare depressione, ma non venne creduta. Il processo fu crudelmente lento e solo nel 2000 arrivò la sentenza di primo grado, con una condanna a tre anni e sei mesi di reclusione. La Corte d’Appello di Roma, nel 2006, la assolse con formula piena perché “il fatto non sussiste”, riconoscendole un’ingiustizia che le aveva stroncato la carriera e minato profondamente la salute mentale. Nel 2010 le fu accordato un risarcimento simbolico di poco più di centomila euro. Troppo tardi per riparare davvero. Venti anni di aule di giustizia.
Negli anni seguenti, Laura Antonelli scelse il silenzio, quasi come un’esule due volte: prima dalla sua terra natale, poi dal mondo dello spettacolo. Visse ritirata a Ladispoli, lontana dal cinema che pure aveva contribuito a definire. Alcuni la cercarono, pochi la trovarono. Tra questi, Lino Banfi, che fu uno dei pochi colleghi a non dimenticarla.
Nel ricordarla oggi, dieci anni dopo la sua morte, vale forse la pena spostare lo sguardo: non solo sulla donna seducente di Malizia, ma sull’attrice che lavorò con Visconti (il suo ultimo film tratto da un romanzo di D’Annunzio), Risi, Scola (La terrazza, con Gassman e Tognazzi), Bolognini.
La sua persona pagò, in un’Italia ipocrita e sessuofobica, il prezzo di aver incarnato un desiderio troppo ingombrante per essere davvero compreso. Laura Antonelli è stata amata, giudicata, dimenticata. Ma il tempo, a volte, ha la grazia di restituire dignità. Dieci anni dopo, è giusto tornare a guardarla non con gli occhi del voyeur, ma con quelli della memoria. Perché certe ferite del nostro immaginario non guariscono mai del tutto. E certe bellezze, forse, non smettono mai di far male.
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