
Cronache dai Palazzi
L’obiettivo principale è non consegnare al mondo l’immagine di un Occidente diviso. Siamo nel pieno di una crisi internazionale e in un periodo tempestoso per il Vecchio Continente, forse anche per tali motivi il prossimo vertice Nato, che si terrà a L’Aia, nei Paesi Bassi, martedì e mercoledì prossimi, sarà molto di più di un incontro fra i capi di Stato e di governo dei 32 Paesi membri, dei Paesi partner e dell’Unione europea. Considerato il clima geopolitico internazionale i vari leader europei, in particolare, sono consapevoli che non sarà un semplice incontro di routine e il tema della difesa tanto atteso sarà davvero centrale, come del resto è stato preannunciato diversi giorni addietro.
A L’Aia saranno definiti e messi nero su bianco i nuovi equilibri politici nazionali ed europei in funzione di una difesa comune per far fronte alla nuova atmosfera internazionale di conflitti. L’ammodernamento delle strutture per la sicurezza dell’Unione, alquanto dipendenti dalle basi americane, è di certo tra i nodi principali da sciogliere. Impegno tra l’altro che gli Usa non sono più disposti a supportare a pieno. In sostanza “va spiegato cosa sono le spese per la difesa”, come ha precisato la premier Giorgia Meloni in una recente riunione di governo e come ribadirà lunedì difronte al Parlamento prima del Consiglio europeo e del vertice Nato. Alle Camere sarà inoltre ribadito che l’efficienza delle reti cyber conta, se non di più, almeno quanto la presenza di nuovi carri armati. In effetti “certi piani di difesa sono ormai superati” e a L’Aia si dovrà necessariamente discutere di capability target, in pratica degli obiettivi che la Nato si aspetta dai Paesi del Patto. Sarebbe funzionale un cambio di prospettiva, come auspicato dal ministro della Difesa Guido Crosetto: “La Nato deve diventare un’alleanza più larga, fondata sulla difesa del diritto internazionale a supporto di un nuovo ruolo dell’Onu”, anche alla luce degli eventi internazionali che incalzano imponendo delle scelte pronte ed efficienti. Il conflitto in Medio Oriente sembra aver oscurato la guerra in Ucraina ma sono entrambi fronti aperti. “Dobbiamo fare di più per l’Ucraina anche per la nostra sicurezza”, ha ammonito Kaja Kallas alla guida della diplomazia dell’Unione europea. “Per citare il mio amico, il segretario generale della Nato Mark Rutte, se non aiutiamo ulteriormente l’Ucraina, dovremmo iniziare tutti a imparare il russo. Più forte è l’Ucraina sul campo di battaglia oggi, più forte sarà al tavolo dei negoziati, quando la Russia sarà finalmente pronta a dialogare”, ha affermato Kallas intervenendo nel dibattito sul summit Nato che si svolgerà la prossima settimana a L’Aia. “Dobbiamo spiegare alla nostra gente perché dobbiamo spendere” per la difesa e “perché dobbiamo fare sacrifici”, ha aggiunto Kaja Kallas riferendosi al nuovo target di spesa per la difesa, che dovrebbe passare dall’attuale 2 % del Pil, deciso nel 2014, al 5% (come richiesto dagli Usa) in un arco di anni da definire per l’appunto nel prossimo vertice Nato, da 7 (come proposto da Rutte) a 10 anni.
Dopo aver ricevuto diversi capi di Stato e di governo africani a Villa Doria Pamphili, oltre ai vertici di Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, Banca africana di sviluppo e Africa finance corporation, e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha presieduto una riunione a Palazzo Chigi per fare il punto sulle informazioni di intelligence italiane a proposito dei principali teatri di guerra e scenari di crisi, a partire dall’Iran e con un focus particolare sulla situazione in Libia. Incontro condiviso con Alfredo Mantovano, autorità delegata alla supervisione dei nostri servizi di intelligence. Secondo le ultime informazioni sensibili, quindi, mentre il conflitto a Gaza potrebbe avviarsi verso la fine, la guerra in Iran è invece un fronte caldo e qualora si presentino delle possibilità concrete per far decadere il regime iraniano il nostro Paese si dichiara pronto a sostenere l’operazione al fianco di Washington e delle forze dell’Alleanza.
In un colloquio con il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha a sua volta ribadito che prevalga la scelta di limitarsi ad una difesa muscolare, una sorta di deterrenza nei confronti della Repubblica Islamica senza sostenere le operazioni militari di Tel Aviv. Gli Stati Uniti sono a loro volta disposti a negoziati diretti con le controparti iraniane. In sostanza con Rubio Tajani ha sottolineato l’impegno italiano per una descalation che renda plausibile una soluzione diplomatica per risolvere il conflitto fra Israele e Iran, ribadendo che gli iraniani non devono avere a disposizione la bomba atomica.
Tajani e Rubio non hanno inoltre trascurato la situazione di Kiev, ribadendo la necessità di far ripartire al più presto il negoziato per arrivare ad una pace giusta e duratura tra Russia e Ucraina. Tutto ciò mentre si attende l’accordo per fissare il 5% del Pil da investire in spese militari da parte dei Paesi Nato entro il 2035, anche se la Spagna si rivela ancora contraria.
Occorre fare ogni cosa affinché la Repubblica islamica non arrivi alla bomba atomica anche se gli esperti dichiarano che non esiste un pericolo imminente, come ha dichiarato Rafael Mariano Grossi, il diplomatico argentino a capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), ribadendo che “non esistono prove” per quanto riguarda la bomba degli ayatollah. Da un altro punto di vista, Grossi mette in guardia Tel Aviv a proposito dei rischi della propria azione militare rinnovando costantemente l’appello per un rispristino della diplomazia. “Un attacco armato contro gli impianti nucleari non dovrebbe mai avvenire e potrebbe provocare rilasci radioattivi con gravi conseguenze dentro e fuori i confini dello Stato attaccato”, ha ammonito Grossi intervenendo al Consiglio di Sicurezza. Il rischio maggiore, avvertito fino ad ora, riguarderebbe la centrale di Bushehr, una centrale meno protetta il cui bombardamento annunciato da Israele è stato poi in seguito smentito. “Bushehr è il sito in Iran dove le conseguenze di un attacco potrebbero essere più gravi. È una centrale nucleare in funzione e un attacco diretto potrebbe comportare un rilascio molto elevato di radioattività nell’ambiente”, spiega il capo dell’Aiea a Palazzo di Vetro, sottolineando la disponibilità dell’Agenzia a monitorare la situazione da vicino in seguito agli attacchi israeliani ai siti nucleari. Il sito di Bushehr si affaccia sul Golfo, è molto vicino a Iraq, Kuwait e Arabia Saudita e crea quindi un clima di allerta in tutta la regione. Costruita con tecnologia russa si tratta di una centrale operativa dal 2011 e che attualmente ospita 200 tecnici di Mosca.
L’Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, è un’agenzia autonoma fondata il 29 luglio 1957, con l’obiettivo di promuovere l’utilizzo pacifico dell’energia nucleare e di impedirne l’utilizzo per scopi militari, compreso lo sviluppo di armamenti nucleari. “Le informazioni raccolte finora sul programma nucleare iraniano non possono in alcun modo giustificare un’azione militare”, sottolinea l’Aiea in un proprio report in cui emergono tra l’altro delle irregolarità e delle distorsioni messe in atto dagli ayattollah come la presenza di uranio in siti non dichiarati. Nonostante tutto l’Aiea “non ha nessuna prova che l’Iran stia costruendo la bomba atomica”, ha ribadito Grossi in una intervista alla Cnn.
Il dialogo tra Palazzo Chigi e la Casa Bianca, oltre a fare luce sulla situazione in Medio Oriente, ha tra gli obiettivi quello di spianare la strada ad un confronto con l’Unione europea a proposito di dazi. Con il vertice di Villa Pamphili il governo italiano ha inoltre ribadito la praticità di allargare il Piano Mattei per “europeizzarlo”, potenziando la collaborazione con iniziative internazionali simili, creando sinergie tra il piano italiano e quello europeo per il continente, come il Global gateway per l’Africa, il piano dell’Unione europea per l’Africa, definendo una rotta operativa ed eventuali iniziative comuni.
In concreto si prevedono iniziative italiane ed europee per un totale di oltre un miliardo di dollari, per rendere autonomi dal Sudafrica, e quindi dagli investimenti russi e cinesi, Paesi come la Tanzania e l’Angola. “Crediamo che l’Africa sia un continente in cui si gioca il nostro futuro: rafforzare l’Africa significa rafforzare l’Europa”, ha affermato la premier Giorgia Meloni aprendo i lavori di venerdì 21 giugno a Villa Pamphili. “Siamo qui per riaffermare il nostro forte impegno e partenariato con l’Africa”, ha aggiunto Ursula von der Leyen. Le risorse sono concentrate su alcuni investimenti strategici a partire dal corridoio Lobito che collega l’Atlantico allo Zambia e al Katanga, zone ricche di risorse minerarie, in modo che il mercato africano possa avere uno sbocco verso i mercati occidentali, europeo e americano. Altro progetto strategico è l’ampliamento di Blue Raman – nel quale progetto è coinvolta l’italiana Sparkle – l’esteso cavo sottomarino in fibra ottica per potenziare la connettività digitale tra Europa, Africa orientale, Medio Oriente. Meloni ha inoltre aggiunto che si recherà in Etiopia nel mese di luglio e che il governo italiano sta lavorando a “un’iniziativa concreta per il debito delle nazioni africane, questione che se non affrontata rischia di vanificare tutti i nostri sforzi”, ha affermato la presidente del Consiglio con la convinzione che è necessario un dialogo aperto con tutte le forze in campo per poter avviare delle trattative utili su vari fronti. Il prossimo banco di prova è il vertice Nato a L’Aia, che avrà inizio martedì 24 giugno, e subito dopo il Consiglio europeo.
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