Camera di Consiglio

E’ POSSIBILE LA NOMINA DI UN AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO IN VISTA DEL FUTURO? – L’amministrazione di sostegno è un istituto al quale possono ricorrere le persone che si trovano nell’incapacità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, per effetto di una menomazione fisica o psichica Ad oggi tale istituto è molto utilizzato, poiché si ritiene che, in generale, l’amministrazione di sostegno sia una misura meno grave e sufficientemente elastica a tutela dei soggetti disabili, poiché  tiene conto dell’esigenza di rispettare e valorizzare la loro residua capacità di agire.

L’amministratore di sostegno va nominato con ricorso al Giudice tutelare: tuttavia, è possibile poter scegliere prima chi sarà il proprio amministratore di sostegno in casi di incapacità futura? Orbene, secondo la Suprema Corte è possibile. La vicenda trae la propria origine dalla vicenda di due coniugi, in cui in cui il marito aveva designato la moglie come proprio Ads in caso di futura incapacità ad esprimere il proprio dissenso a determinate terapie. Sia in primo che in secondo grado il ricorso non veniva accolto, poiché l’uomo era allo stato capace di intendere e di volere.

Tuttavia, la Suprema Corte osservava che l’uomo era in realtà portatore di una grave malattia e che, a seguito di un intervento invasivo, non sarebbe stato in grado di esprimere il proprio diniego alle emotrasfusioni (si trattava di un testimone di Geova). Orbene, deduceva la Corte che se ricorre lo stato di incapacità previsto dall’art. 404 c.c., il Giudice è tenuto in ogni caso a nominare un amministratore di sostegno, con la conseguenza che tale discrezionalità prevista dalla legge dovrebbe riguardare, dunque, unicamente la scelta della misura protettiva più idonea (ad esempio, interdizione o ads, ma non la possibilità di non procedere ad alcuna nomina.

Ciò significherebbe, infatti, privare il soggetto incapace del suo diritto ad una qualsiasi forma di protezione giuridica, nonché della sua possibilità di esprimere il proprio rifiuto a determinati trattamenti terapeutici. La Corte richiamava, altresì l’art. 32 della Costituzione, precisando che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” e che, in ogni caso, “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Nel contesto dell’attività sanitaria, il diritto alla autodeterminazione terapeutica del paziente non può incontrare un limite allorché da esso consegua il sacrificio del bene della vita.

Secondo la Cassazione, dunque, la motivazione adottata dalla Corte d’appello appariva del tutto contraddittoria nell’affermare che la procedura diretta alla nomina dell’amministratore di sostegno non fosse funzionale alla tutela del diritto avente ad oggetto il rifiuto di essere sottoposto ad un trattamento terapeutico, e che essa richiederebbe invece l’esercizio di un’autonoma azione di accertamento, in quanto tale azione, nella fattispecie in esame, non avrebbe garantito all’uomo, di per sé, la realizzazione del diritto fatto valere, poiché, nell’ipotesi dell’evenienza delle paventate crisi emorragiche, egli sarebbe verosimilmente privo della capacità di agire e necessiterebbe comunque della nomina di un rappresentante legale- anche nella qualità di amministratore di sostegno- il quale, in nome e per conto dell’interessato, possa esprimere il diniego attuale del trattamento fondato, nel caso di specie, su trasfusioni ematiche.

Con l’introduzione della Legge sul testamento biologico, ogni problematica è destinata a venire meno, poiché riconosce la possibilità di esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, prevedendo la possibilità di nominare un proprio fiduciario.

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