Cronache dai Palazzi

Il governo di Roma è pronto a rispondere all’Unione europea sui conti dell’Italia. “Siamo tutti determinati ad evitare la procedura, ma siamo anche convinti – ha spiegato il premier Conte – della nostra politica economica”.

Concretamente l’Italia chiede all’Europa un “cambio” con più “crescita” e regole “uguali per tutti” i Paesi a proposito di politiche di bilancio.  È questa la linea con la quale il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha affrontato il Consiglio europeo, l’organismo che definisce le priorità e gli indirizzi politici generali dell’Ue, formato dai capi di Stato e di governo degli Stati membri e il presidente della Commissione europea.

L’Italia ha conti pubblici che “vanno meglio del previsto”, ha puntualizzato Conte, e tra l’altro il Belpaese “non vuole sottrarsi all’applicazione delle regole vigenti”, anche se per l’esecutivo le stime della Commissione sembrano essere fornite “in modo un po’ surreale”. Nello specifico “nel Patto di stabilità e crescita c’è molta stabilità e poca crescita”, al contrario “dobbiamo lavorare per contrastare la disoccupazione, per il salario minimo, per lo sviluppo sociale”, ammonisce Palazzo Chigi.

Il premier Conte considera inoltre ingiustificata una eventuale procedura d’infrazione anche perché nonostante la crescita piuttosto bassa, il deficit 2019 è stimato “al 2,1% e non al 2,5%” come previsto dalla Commissione. Per quanto riguarda invece le risorse a disposizione il governo ha messo sul tavolo circa 5 miliardi dei quali due derivanti da un “congelamento già programmato” nella legge di Bilancio dell’anno scorso, fondi che dovrebbero però essere utilizzati solo in caso di necessità; altri tre miliardi sarebbero invece in arrivo “con risparmi di spesa e maggiori entrate”.

“Per il 2019, se è vero, com’è vero che lo Stato spende di meno e incassa di più possiamo utilizzare quella cifra per abbattere il debito” ma “basta gabbie sugli anni futuri – ha ammonito il vicepremier leghista -, basta con lo strozzare la crescita possibile”.

Per ora la lettera inviata da Palazzo Chigi a Bruxelles, con l’obiettivo di evitare l’apertura di una procedura per deficit eccessivo, deve essere posta al vaglio della Commissione e il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, ha già specificato che si lavora “per evitare la procedura, ma non lo si fa attraverso commenti sulle regole”.

Per il governo italiano la situazione dei conti pubblici nel nostro Paese non è poi così disastrata e lasciando all’Italia il tempo necessario si potrà ripristinare l’immagine del Belpaese. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ricorda a sua volta di salvaguardare il dialogo con la Commissione europea “per il bene dell’Italia”. La raccomandazione di Mattarella al governo è molto chiara e la parola chiave è “dialogo”. Per il Quirinale, inoltre, è importante garantire a Bruxelles una certa solidità dei conti pubblici, ciò è “essenziale per la tutela del risparmio e l’accesso al credito e per sostenere l’economia reale”.

L’esecutivo ha assicurato di voler lavorare “in modo costruttivo” per cercare di raggiungere un’intesa con l’Unione. Nel contempo, però, l’immagine trasmessa dalla squadra di governo gialloverde è quella di un esecutivo in balìa di discussioni continue tra i due maggiori azionisti che si contendono le varie fette della torta. I segnali lanciati sembrano a volte contraddittori. Viene ad esempio auspicata la disponibilità di alcuni fondi un tempo dirottati su reddito di cittadinanza e riforma delle pensioni. Si attendono risorse anche in virtù della fatturazione elettronica e della cosiddetta pace fiscale ma per ora si tratta di soldi che non esistono. Tutto ciò per cercare di schivare una procedura d’infrazione. La versione maxi della prossima legge di Bilancio dovrebbe comprendere ad esempio lo stop all’aumento dell’Iva, flat tax e taglio delle tasse sul lavoro ma occorre trovare le coperture. Il governo italiano preme sulla spending review, propone un intervento sulle agevolazioni fiscali e la lotta all’evasione con la speranza che basti. “Evitiamo la procedura ma niente tagli a servizi  e imprese”, ha affermato il vicepremier Di Maio, mentre la Lega non intende rinunciare alla Flat tax.

Sull’Autonomia invece non è stato ancora raggiunto un accordo, nonostante Salvini affermi: “Il lavoro è fatto, siamo pronti per votare al prossimo Consiglio dei ministri il testo base sulle autonomie per dare risposte ai cittadini delle Regioni che aspettano da tempo”. Nel contempo i pentastellati annunciano l’istituzione di un tavolo ad hoc sulle autonomie prima del prossimo Cdm e si dimostrano cauti.

A proposito di Autonomia regionale differenziata il governo quindi va avanti ma a due velocità. “Indietro non si torna”, ha affermato il leader del Carroccio, mentre per il capo politico dei Cinque Stelle alla fine la riforma dell’autonomia “toglierà ai poveri per dare ai ricchi”. Per il ministro degli Affari regionali, Erika Stefani (Lega) “l’autonomia è ufficialmente incardinata, perché con Conte abbiamo stabilito la road map sulle fasi finali della trattativa”, mentre per il ministro per il Sud, Barbara Lezzi, non c’è “nessun via libera all’autonomia”. Lezzi ha inoltre affermato che non c’è stato “nessuno scambio” a proposito di fondi eventualmente spostati dal suo ministero per il Sud alle Regioni.

La frenata del Movimento Cinque Stelle si avverte anche dalle parole del leader Di Maio: “Tutti dobbiamo ricordare che in Italia non serve un ulteriore divario tra Nord e Sud e l’unico modo per affrontare l’autonomia è elaborare soluzioni per il Sud. Serve un grande piano”.

Continui raffreddamenti e frenate. È questo il clima in cui l’esecutivo Conte ha chiesto il voto di fiducia alla Camera sul decreto Crescita, nel quale i leghisti avrebbero voluto inserire il controllo delle Regioni sui fondi milionari per la coesione territoriale, per ora gestiti dal ministero per il Sud, ma l’emendamento è stato stralciato. Il decreto è stato successivamente approvato da Montecitorio con 270 voti favorevoli, 33 contrari e 49 astenuti e ora passerà a Palazzo Madama per l’ok definitivo che dovrebbe essere pronunciato entro il 29 giugno.

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