Shining (Film, 1980)

Sono vent’anni che è morto Stanley Kubrick e quanto ci manca il suo genio straordinario capace di passare dal conturbante Lolita alla fantascienza apocalittica di 2001 Odissea nello spazio, proseguendo con il sadismo assassino di Arancia meccanica, continuando con l’horror inquietante di Shining e la condanna bellica di Full Metal Jacket. Tredici lungometraggi in carriera, tutti di straordinaria qualità, usando il genere per dire altro, per indagare l’animo umano, per approfondire lo studio psicologico dei caratteri e delle situazioni.

Shining è uno dei migliori film horror di sempre, secondo la stampa britannica viene subito dopo L’esorcista, ma è unitile fare classifiche, perché a nostro parere si va oltre il genere e non siamo di fronte a un semplice film dell’orrore. Prima di tutto il soggetto è ricavato da un ottimo romanzo di Stephen King, letteratura pura e al tempo stesso efficace sceneggiatura, rielaborata dal regista con la collaborazione di Diane Johnson, per raccontare la follia, la depressione che cattura l’animo umano in una situazione di quasi totale solitudine, abbandonato tra le nevi glaciali e le stanze di un albergo isolato dal resto del mondo. Attori straordinari come Jack Nicholson (ritratto ineguagliabile della pazzia che sprizza dagli occhi maligni e dalla voce in falsetto) e Shelley Duvall (il terrore fatto persona), ma non è da meno il piccolo Danny Lloyd nei panni del bambino dotato della luccicanza, dello shining, che gli permette di vedere fatti atroci accaduti in passato.

Shining è un film invecchiato benissimo, visto oggi terrorizza come nel 1980, catapultando lo spettatore in una spirale di orrore a base di suspense e di macabre apparizioni, fino al folle inseguimento del padre sulle tracce del figlio in mezzo alla neve, spinto dalla brama di massacrare sia lui che la madre a colpi di accetta, come aveva fatto il custode che l’aveva preceduto. Shining scava dentro l’animo umano per scovare le paure più recondite, imbandisce una tavola composta di momenti di cupo terrore, affronta l’argomento dei poteri extra sensoriali, sviscera la leggenda che nei luoghi dove ci sono state morti violente i fantasmi vagano per le stanze e tormentano gli umani.

Jack Torrance è un personaggio così terrificante da restare indelebile nell’immaginario collettivo, finisci per immaginarlo all’infinito brandire l’ascia e sfondare la porta mentre dice: “Sono il lupo cattivo!”, chiama Wendy e Danny con voce suadente e melliflua, sorride sgranando gli occhi da pazzo e beve burbon insieme ai fantasmi. Wendy Torrance è una moglie spaventata da antologia, si difende con una mazza, vaga per le stanze dell’albergo con un coltellaccio in mano, piange e si dispera, ma in definitiva è più forte del marito perché se ne libera più di una volta e riesce a mettere in salvo il figlio.

Shining è un film che ha fatto scuola per molti registi, replicato all’infinito nel cinema horror italiano degli anni Ottanta e Novanta in pellicole artigianali, meno geniali dell’originale, che tentavano di abbeverarsi alla fonte inesauribile di un Maestro. Lucio Fulci e Dario Argento devono molto a Kubrick, così come i bambini del cinema horror nostrano sono figli della luccicanza di Stephen King. Shining è un film che ciclicamente andrebbe rivisto per analizzare i meccanismi della paura, della suspense e del terrore, ma anche per capire come si può rappresentare un crescendo di follia che s’impadronisce dell’animo umano. Capolavoro assoluto.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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