Deep State, custode o cancro della democrazia?

Nell’ultimo mezzo secolo, l’Italia ha attraversato periodi storico-politici con molte chiazze oscure. Negli anni di Gladio e del piombo terrorista, ci siamo persi nelle nebbie degli “Stati paralleli”. Successivamente, ci siamo angosciati per l’esistenza di “governi ombra”. Da quando il dominio della scena politica non è più appannaggio dei partiti, intesi come strutture collettive organizzate, bensì dei rispettivi leader a cui sono asserviti, è cominciata a circolare l’idea di “cerchio magico”, ristretta elìte di fedelissimi cortigiani intimamente vicina al “monarca” di turno, con funzioni di protezione e consulenza strategica. Oggi, un nuovo conio descrive il lato oscuro della luna: è il Deep State, lo Stato profondo.

Neologismo divenuto recentemente popolare durante le elezioni presidenziali americane del 2016,  trasferisce con immediatezza la visione di un potere sommerso che agisce silente dietro le quinte, con dinamiche indecifrabili al cittadino ordinario, finalità misteriose ad alto coefficiente sovversivo e radici che affondano nei gangli vitali e nella storia stessa di un Paese.

E’ possibile che attività di alto livello, per lo più sotterranee, che influenzano le linee politiche delle classi dirigenti e l’opinione pubblica, sfociando – talvolta – in “ribaltoni”, congiure, golpe palesi o bianchi, tutti ingredienti assai cari ai cosiddetti complottisti, siano ascrivibili al Deep State. Se ragioniamo un momento sulla questione, ci renderemo presto conto che eminenze grigie e suggeritori raffinatissimi sono sempre stati presenti accanto al potere di facciata. Rasputin, consigliere privato dello Zar Nicola II di Russia, il cardinale Richelieu, primo ministro del re di Francia Luigi XIII,  Niccolò Machiavelli, cancelliere della Repubblica Fiorentina e sottile mente politica di molti potenti della sua epoca: che abbiano rappresentato sé stessi e una egocentrica propensione all’intrigo, oppure cordate sottostanti, o ancora solo la propria dedizione allo Stato, sono comunque un indicatore importante della morfologia del potere e dell’arte del governare.

Oggi, le riviste di geopolitica offrono un quadro più ampio e dettagliato del Deep State e del suo modus operandi. Ogni Paese democratico (i regimi totalitari non ne hanno bisogno) è dotato di ruling elites che si occupano di politica a lungo termine, onde contrastare l’interruzione programmatica e progettuale e i cambi repentini di orientamento dovuti – in occasione di consultazioni elettorali – all’alternarsi di maggioranze ed esecutivi incompatibili con i loro predecessori. Potrebbe suonare come una garanzia di continuità nella crescita sociale e civile di un Paese. Ma è davvero così?

Si è molto parlato di Deep State e della sua capacità di condizionamento, a proposito delle varie amministrazioni politiche succedute negli ultimi anni alla Casa Bianca. Questi corpi interni non eletti, che operano dietro la democrazia di uno Stato, attingono dalle forze militari, dalla magistratura, dall’imprenditoria e i media, ma, soprattutto – nel caso statunitense e  nell’era delle info-wars – dalle comunità d’intelligence e sicurezza nazionale, per stabilizzare o squilibrare un sistema, a seconda che sia ritenuto idoneo agli obiettivi prefissati o meno. L’aggregata entità che, dunque, si viene a creare sembra, in qualche modo, ergersi al di sopra della legge e non rispondere necessariamente ai governi regolarmente eletti, in nome di una affatto verificabile ragione superiore di Stato. Ma chi ci garantisce che si stiano veramente tutelando i valori costituzionali e i diritti fondamentali del cittadino, anziché specifici interessi di parte e il proprio status quo?

Il Kratos en kratei, lo Stato nello Stato, concetto ben conosciuto sin dai tempi delle polis nell’antica Grecia, probabilmente non ce lo dirà mai.

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