Cassazione su violenza sessuale, facciamo chiarezza

Nella costante ricerca di sensazionalismo o di approvazione da parte di lettori che non sono considerati degni di una corretta informazione, ancora una volta non pochi giornalisti hanno usato e distorto ad arte una sentenza della Corte di Cassazione, stavolta in materia di violenza sessuale. Titoli sensazionalistici come quello de Il Fatto Quotidiano (Ricorda: sei sempre responsabile dello stupro che subisci) ma anche de La Stampa (Sei ubriaca? Lo stupro è senza aggravante), che attirano l’attenzione e guidano l’opinione del lettore che spesso proprio al titolo ferma e non legge i miserrimi articoli dove si raddrizza un minimo il tiro offrendo comunque informazioni non esaustive e comunque distorte.

Non vi possono essere dubbi sul fatto che il reato in questione sia tra i più odiosi e, probabilmente, le pene dovrebbero essere più alte, ma la situazione oggi è in ogni caso decisamente migliore per la vittima rispetto alla Bibbia in cui si prevede (Deuteronomio 22. 23-29) la lapidazione della fanciulla che, violentata in città, non abbia gridato per chiedere aiuto a fronte di uno stupro. Magra consolazione che anche l’autore della violenza subisse la stessa pena. Situazione analoga nel Codice di Hammurabi che prevedeva la morte per la donna sposata vittima di stupro insieme al suo violentatore che subiva la stessa pena in caso di violenza su una donna non sposata che era così salva. Con il diritto romano viene meno la punizione della vittima ma, purtroppo, la figura femminile è sempre stata quella meno tutelata se pensiamo che, fino al 1981, oltre ai delitti d’onore che prevedevano pene irrisorie per chi avesse ucciso in stato d’ira la moglie (ma anche il marito), la sorella o la figlia sorpresa in una relazione illegittima per salvare l’onore, esisteva la figura del Matrimonio Riparatore che estingueva addirittura il reato di corruzione di minore. Finalmente il quadro normativo, si è evoluto.

Forse tutto nasce dalla mitologia greca, con Persefone rapita da Ade e Dafne da Apollo così come Cassandra rapita da Aiace e Andromeda da Ettore. I Romani addirittura fondano la discendenza della loro civiltà sulla violenza perpetrata da Marte su Rea Silvia e ricordiamo il ratto delle Sabine.

Oggi l’articolo 609 del Codice Penale, che disciplina la figura di reato principale, prevede la pena della reclusione da cinque a dieci anni non solo per l’autore di ogni violenza, ma anche per coloro che inducano la vittima a compiere o subire atti sessuali abusando delle sue condizioni di inferiorità fisica o psichica o traendola in inganno. Questa disciplina è frutto di una riforma del 1996, che, oltre ad aumentare la pena a suo tempo prevista, sposta le norme sulla violenza nella parte del Codice Penale che punisce i delitti contro la persona e non, come nell’originaria stesura, tra quelli contro la libertà sessuale. La scelta del Legislatore del 1996 fu di conferire una maggiore dignità e tutela alle vittime. All’articolo 609, ne seguono altri che prevedono aggravanti specifiche quali, ad esempio, su soggetti privi di libertà personale o con l’uso di armi; su minori di anni quattordici o su chi non abbia ancora compiuto la maggiore età se l’autore sia il genitore (anche adottivo) o chi ne abbia la custodia. Altre aggravanti sono state successivamente aggiunte; ad esempio, nel caso in cui la violenza avvenga vicino ad una scuola o centro di formazione (nel 2009) o su una donna in gravidanza (nel 2013).

Tra le aggravanti specificamente previste nei casi di violenza, l’articolo 609 ter, al numero due, espressamente prevede che la pena per lo stupratore venga aumentata quando il fatto sia compiuto con l’uso di sostanza alcooliche, stupefacenti o qualsiasi strumento lesivo della salute della persona offesa. In altre parole il legislatore punisce in misura maggiore colui che, intenzionalmente, con premeditazione, faccia ubriacare la vittima. Non è questo il caso di cui la stampa ha (male) parlato.

La sentenza in esame è relativa ad una diversa fattispecie e, come chiaramente emerge dalla lettura della stessa (attività cui i giornalisti dovrebbero dedicarsi), riguarda un’ipotesi in cui gli stupratori hanno agito nei confronti di vittima che aveva volontariamente, assunto alcool e forse non solo. È corretta pertanto l’interpretazione della Corte di Cassazione che, si noti, non ha assolutamente detto che non siamo in presenza di stupro, ma semplicemente che non può essere contestata l’aggravante dell’induzione da parte dell’autore nello stato di ubriachezza. Pertanto la pena dovrà essere eventualmente rivista, con una diversa valutazione delle aggravanti, magari di quelle più banali e ovvie di cui all’articolo 61 del Codice che prevede un aumento di pena per ogni reato in cui l’autore abbia approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa.

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