Il labirinto della Sinistra

Fa tristezza vedere le agitazioni psicomotorie del PD e dell’intera Sinistra, in una fase in cui tutto è loro contrario e la corrente della Storia li ha messi crudelmente da parte. L’Assemblea del PD, che avrebbe dovuto segnare l’inizio della ripresa, si è di fatto conclusa nel nulla: né indicazione di una linea nuova, di nuove possibili alleanze al di fuori dello stretto perimetro della sinistra (e neppure questo è scontato, date le beghe ancora in atto), né di un nuovo leader; non è certo Martina a poter trascinare il partito alla riscossa: è una brava persona, fa persino un poco tenerezza con la sua maglietta rossa e lo sguardo un po’ sperduto, ma come prenderlo sul serio? Tra l’altro, la bacchetta di direttore gli è stata data a tempo.

Tutto rinviato, come da copione, al Congresso e alle Primarie. Forse era necessario, per evitare una resa dei conti tra le varie anime – e i vari galletti – che spaccasse il Partito Democratico e lo frantumasse in vari spezzoni (le correnti sono lì, pronte a convertirsi, secondo il gergo caro alla Sinistra, in “nuovi grandi partiti”: quanti ne abbiamo visti sorgere e tramontare in pochi anni!). Però, questo vuol dire che il PD e con lui tutta la Sinistra – visto che LeU è ridotto a una meritata irrilevanza – rinunciano a far politica per quasi un anno, aspettando il mitico riscatto alle Europee  (poco probabile, a meno che i giallo-verdi al governo non facciano clamorose sciocchezze). Ci si deve quindi rassegnare: per ora il gioco è in mano a questa strana mistura di destra e di populismo (che Berlusconi, che non lesina sugli aggettivi, ha definito “veterocomunista”).

D’altra parte, tutto questo era prevedibile. Da tempo immemorabile la Sinistra italiana si dibatte nel dilemma tra riformismo e radicalismo, e quando una delle due tesi prevale, l’altra si affretta a far la fronda. È la storia dei due governi Prodi, del governo D’Alema, di quello Renzi. La sconfitta così cocente del 4 marzo, naturalmente, continua a pesare sulle due anime, che ovviamente non trovano di meglio che accusarsi a vicenda, e provocare, non un sano slancio verso l’unione, ma nuove beghe fratricide. Chi rinuncia, nella nostra rissosa Sinistra, alla sua parcella di verità, chi è disposto a sacrificare la sua parcella di status personale, in nome di un interesse comune e superiore, anche se si tratta di contendersi le briciole di un potere ridotto al lumicino? C’è una perversa soddisfazione, credo, nel riunire platee moltitudinarie e nell’illudersi di essere capi o capetti, anche se al di fuori c’è il vuoto. Da noi, si sa, è sempre meglio essere primi nel villaggio che secondi a Roma. Era già accaduto alla DC, che reagì alla sconfitta, del resto molto relativa, del 1992,con una specie di suicidio rituale, che portò alla spaccatura in gruppuscoli irrilevanti. Quando sarebbero forse bastati un po’ di tenuta, un po’ di coraggio e di pazienza, per passare la nottata e ritornare forti.  Segno che davvero, per gli animi deboli, il potere logora chi non ce l’ha.

Ora, la ricetta  magica del PD martiniano è fare opposizione razionale, propositiva, europea. Bello, nobile e un po’ patetico. Ma poco d’altro passa il convento. Basta leggere le dichiarazioni degli uni e degli altri: un labirinto, in cui si aggirano velleità contrapposte: andare al di là del PD (ma dove?) o mantenerlo al centro di tutto, superare Obama che “non basta più” (ma allora cosa si vuole: Raul Castro?),“costruire l’alternativa” (ma con chi, se un’intesa coi 5 Stelle resta esclusa a priori?). Insomma,  una gara di propositi a vanvera, nella quale Renzi stesso si è distinto per caparbietà e incomprensione della realtà. Ha ammesso, per la forma, le sue responsabilità, affrettandosi a dire di non essere il solo responsabile. Il che è anche vero, ma chi ha tenuto in mano, per tre anni, tutte le carte? La sua analisi dei motivi della sconfitta è inoltre parziale e non convincente.  Non ha parlato delle riforme sbagliate, delle vicende delle banche, della sua stessa arroganza. Tra l’altro, ha detto una cosa assurda: che una delle ragioni è la mancata approvazione dello jus soli! Ma davvero non ha capito niente dello stato d’animo della gente? In più, ha accusato sotto sotto di tiepidezza Gentiloni, che è il solo che in un momento difficile ha tenuto il timone con equilibrio e buoni risultati e, se designato a tempo alla testa del PD, avrebbe potuto forse evitargli una batosta così grossa.

Tutto questo potrebbe non riguardare chi di sinistra non è. Ma una democrazia che funzioni non può fare a meno di un confronto tra la maggioranza e un’opposizione forte e motivata e, in concreto, tra Centrodestra e Centrosinistra capaci di alternarsi al potere. In mancanza, temo che ci si possa avviare a una forma più o meno larvata di regime. Che è, io  credo, il rischio che potremmo stare correndo se non facciamo grande attenzione.

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