120 battiti al minuto (Film, 2017)

La musica house è la colonna sonora del film di Robin Campillo e il titolo fa riferimento proprio a quel genere pop in voga nei primi anni Novanta, mentre l’azione racconta le gesta più eclatanti degli Act-Up Paris, movimento che cercava di sensibilizzare l’opinione pubblica sul pericolo AIDS. Il gruppo di attivisti operava con metodi persino eccessivi, criticabili, ai limiti dell’esibizionismo, ma forse proprio quel che serviva per svegliare una società convinta che il problema AIDS riguardasse solo omosessuali, prostitute e tossicodipendenti.

Gran Premio della Giuria a Cannes, con un Pedro Almodovar affascinato dal realismo inquietante con cui vengono ricostruite sequenze d’epoca; selezionato come miglior film francese dell’anno, proposto per rappresentare il paese transalpino agli Oscar. In Italia viene distribuito il 5 ottobre 2017, nell’indifferenza generale, da Teodora Film, tra l’altro la Commissione Censura del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo impone un criticabile divieto ai minori degli anni 14 che ne limita le potenzialità. Alcune scene di sesso esplicito, la visione di un paio di rapporti omosessuali, forse, stanno alla base della limitazione, come se l’amore tra persone dello stesso sesso rappresentasse ancora un tabù. In realtà Robin Campillo (ottimo sceneggiatore di Laurent Cantet) e Philippe Mangeot – due ex attivisti di Act Up – hanno voluto raccontare un’esperienza forte della loro vita, inserendo momenti tratti dalla realtà, come la vestizione di un fidanzato morto e le azioni con sacche di sangue finto scagliate contro politici e aziende farmaceutiche. Girato a Parigi con alcune stupende sequenze fotografiche della capitale francese, prima tra tutte la Senna colorata di rosso con un inquietante effetto speciale.

Film corale recitato con crudo realismo, molte sequenze di dibattito, cariche della polizia, sfilate del Gay Pride fanno pensare a un documentario girato in presa diretta. Interpreti credibili e ispirati che trasformano un film di denuncia in uno struggente romanzo di formazione che accompagna lo spettatore in una dolente caduta negli inferi. Tra denuncia accorata e dramma intimo, un film che procede senza punti morti per oltre due ore, crudo e spietato, appassionante, sconvolgente, persino commovente nel racconto dei singoli percorsi esistenziali. Ad Huffington Post Robin Campillo confida: “Ho voluto raccontare questa storia perché sentivo che non era stato ancora fatto e occorreva farlo in un modo che ottenesse la massima visibilità, andando al di là della nostalgia. […] Nel film è implicita la tristezza della perdita di persone che ammiravamo, che amavamo e con cui abbiamo passato tanti bei momenti. Ma io penso anche di più a quelli di noi che sono sopravvissuti e a quelli che ancora oggi combattono con la malattia”.

Il problema AIDS resta sempre in primo piano, la confezione scenografica da documentario realistico serve a far capire – se mai ce ne fosse bisogno – che non dobbiamo abbassare la guardia e che il nemico è sempre dietro l’angolo, pronto a colpire. Un film utile, da vedere senza pregiudizi e falsi moralismi, ma che vi renderanno difficile trovare, statene certi. Tale è la nostra Italia cinematografica.

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Regia: Robin Campillo. Soggetto e Sceneggiatura: Robin Campillo, Philippe Mangeot. Fotografia: Jean Lapoirie. Montaggio: Robin Campillo. Musiche: Arnaud Rebotinoi. Produttori: Hugues Charbonneau, Marie-Ange Luciani. Casa di Produzione: Les Films de Pierre. Distribuzione: Teodora Film. Paese di Produzione: Francia. Durata: 144’. Genere: Docufiction. Interpreti: Nahuel Pérez Biscayart, Arnaud Valois, Adéle Haenel, Atoine Reinartz, Félix Maritaud, Médhi Touré, Aloise Sauvage, Simon Bourgade, Catherine Vinatier, Saadia Bentaieb, Ariel Borenstein.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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