Milano, via Padova (Film, 2016)

Antonio Rezza e Flavia Mastrella sono due attori di teatro che definire comico è parola grossa, qualificare come di impegno politico e civile, forse, lo è ancora di più. Nel caso di Milano, via Padova, loro stessi definiscono l’opera un documentario, ma non c’è niente di più falso, il film in questione tutto è fuorché un documentario.

Che cosa documenta, infatti, Milano, via Padova, se non l’arroganza di chi l’ha girato e prodotto? Abbiamo visto un collage di interviste crudeli, perfide, assurde a varia umanità, scelta tra il peggio del peggio, un florilegio di casi umani, ai limiti della follia, selezionati con cura tra i soggetti che nei giorni delle riprese transitavano per via Padova. Domande come: “Prendereste in casa un immigrato che si mette in sala con i piedi sul tavolino, spadroneggia e non fa niente dalla mattina alla sera?”, oppure – rivolta a un prete – “La famiglia non è come un’associazione a delinquere di stampo mafioso?”, e anche: “Dio a che gioco sta giocando? Crea l’uomo imperfetto per poi aggiustare tutto?”, lasciano più che perplessi. Considerazioni come “Dio è il più grande imprenditore della storia” non smuovono il sorriso neppure dell’ateo più convinto. Intervistare un ubriaco cronico per fargli dire che l’unica soluzione è tornare a bruciare legna credo non sia di alcuna utilità e che non dimostri nessuna tesi.

Tutto ciò fa ridere? Meglio le torte in faccia, allora. Meglio Franco e Ciccio, Checco Zalone, Totò. Per ridere non abbiamo certo bisogno di gente che intervista ignoranti cronici, cafoni e casi clinici per strada, oppure che provoca persone comuni con domande fuori luogo. Ricordiamo tra i tanti fiori all’occhiello di questo pseudo documentario un tipo assurdo che vorrebbe castrare i diversi, un omosessuale che vaga per strada vestito in maniera improbabile, un rozzo meridionale in canottiera che vorrebbe rimandare tutti a casa. Alla fine la domanda sorge spontanea, parafrasando un presentatore di altri tempi, ed è sconcertante: Abbiamo riso, bene. Ma di che? Non ci vergogniamo un po’ delle immagini di cui abbiamo riso? Abbiamo riso della perfidia umana, dell’ignoranza, della stupidità, del perbenismo, di domande strampalate che non meritavano risposta. Abbiamo riso persino di una donna sofferente di diabete alla quale è stato detto più volte di mostrare i piedi gonfi. Abbiamo riso come quando da adolescenti facevamo le telefonate a casa di persone sconosciute e dicevamo le cose più folli, attendendo reazioni comiche.

Non è certo così che si gira un documentario, almeno per noi che abbiamo come parametro cose di alto livello, stile Comizi d’amore di Pasolini e Guareschi. Milano, via Padova è un’opera insignificante, arrogante e presuntuosa che non dimostra niente e che documenta soltanto la volgarità degli autori. Non altro. Per fare un lavoro serio serve una professionalità che in questo caso abbiamo visto soltanto da un punto di vista tecnico. La sceneggiatura (?) è di una violenza inaudita e la prosopopea dell’interprete unico – l’intervistatore provocatore – non ha uguali. Perdetevelo pure.

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Regia: Antonio Rezza e Flavia Mastrella. Interpreti: Antonio Rezza, passanti di via Padova. Immagini: Marco Tani, Flavia Mastrella. Montaggio: Barbara Faonio. Fotografo di Scena: Ivan Talarico. Girato: Milano, via Padova (esterno giorno). Produzione: Rezzamastrella, Fondazione Gaetano Bertini Malgarini Onlus. Durata: 70′. Genere: Documentario (?).

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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