Cronache dai Palazzi

Continua la strategia da “rullo compressore” di Matteo Renzi, convinto che andare avanti con le riforme – nonostante le resistenze provenienti da più parti – sia la strada più giusta. Il capogruppo forzista, Renato Brunetta definisce addirittura “un golpe” la riscrittura delle Province e la creazione delle città metropolitane, magari temendo il rafforzamento del cosiddetto “partito dei sindaci” di sinistra. Secondo, l’autore del ddl “svuota Province”, invece, “questa riforma porterà soltanto delle semplificazioni”. Graziano Delrio ritiene che “le preoccupazioni di Forza Italia sono soltanto di tipo politico perché il centrosinistra ha un sacco di sindaci”.

Il ministro Maria Elena Boschi rende a sua volta noto che Berlusconi “ha confermato” l’accordo con il premier sul Senato, puntualizzando che “regge l’accordo per cui si va avanti con la riforma del Senato e si continua con l’Italicum”. Il premier in carica è convinto che sulle riforme “bisogna accelerare” e avverte i partiti, da FI al Pd: senza riforme è meglio il voto. Renzi vuole stringere sulla riforma del Senato sulla quale si è focalizzato anche l’incontro a Palazzo Chigi con Gianni Letta e Denis Verdini, con l’intenzione di confermare il patto di collaborazione istituzionale. “La credibilità del mio Governo dipende dalle promesse mantenute. La gente ci giudicherà per i risultati – sostiene Matteo Renzi – non per le chiacchiere che facciamo e che ha sempre fatto la politica”.

Renzi è disposto a concedere qualche strappo – come la cancellazione dei 21 senatori di nomina presidenziale – ma “l’impianto sostanziale deve restare il medesimo“ e, per di più, è da evitare qualsiasi tentativo di “confusione tra le riforme e le questioni giudiziarie di Berlusconi”. Il termine utile per le riforme è quello fissato dalle Elezioni europee. il 25 maggio è vicino ed entro quella data Renzi dovrà portare a compimento “il pacchetto” – riforma del Senato e nuova legge elettorale – convinto che “la gente è stanca de dibattiti infiniti e dei rinvii”.

Ciò che, più di altre questioni, può rappresentare un ostacolo per la realizzazione dei progetti del premier è l’atteggiamento presunto di Berlusconi dopo il 10 aprile, dato che i tentativi dell’ex Cavaliere di schivare la pena, salvaguardando la propria libertà personale, si sono rivelati finora tutti vani, come l’ultima ascesa al Colle. Berlusconi tuttavia rivendica la sua agibilità politica e dichiara di essere “l’unico garante possibile” a proposito della “tenuta di Forza Italia sulle riforme”.

L’ultima spiaggia per convincere Forza Italia potrebbero essere le elezioni anticipate in nome della battaglia alla “palude” (partiti, sindacati, parti civili e politiche) che non vuole accettare le riforme. Ad un Berlusconi in crisi a proposito di consensi, con un partito spaccato e acefalo, la prospettiva delle elezioni in questo frangente non è, di certo, del tutto gradita. Al contrario le elezioni anticipate potrebbero rivelarsi un terribile flop a vantaggio del giovane antagonista democratico, asceso al potere approfittando del deserto intorno e che per il momento non prende nemmeno in considerazioni l’ipotesi del voto, convinto che il leader di FI “non potrà sottrarsi  e tornare sui suoi passi, rispetto agli accordi presi”. Renzi puntualizza infine che non è intenzionato a cedere “al potere di interdizione dei partitini”, né del suo, di FI e degli alleati di Governo. Tutto ciò non vuol dire abolire il dialogo e il confronto come si è verificato a proposito dell’Italicum e del decreto Poletti. Per ottenere certi risultati il presidente del Consiglio è pronto a “giocare sul campo tutto”, anche la “mia autorevolezza” ammonisce Renzi.

Il fantasma della sentenza del 10 aprile tiene comunque tutti in sospeso. Il Cavaliere non cederà alla tentazione di tirarsi indietro autoescludendosi dai giochi e, nel contempo, rivendicherà a tempo debito la sua centralità a proposito della buona riuscita delle riforme. “Ho bisogno dell’agibilità politica perché sono l’unico che può garantire la tenuta di Forza Italia sulle riforme”, è lo sfogo di Berlusconi che mette sul piatto della bilancia “l’essere l’unico garante possibile”, anche di un accordo sulla fine del bicameralismo. Gli azzurri oscillano comunque tra la voglia di opposizione ad un Governo che appoggiano sulle riforme e la necessità di essere comunque subalterni al suddetto Governo, del quale non fanno parte, per non rischiare di scivolare in un limbo preelettorale a dir poco pericoloso.

Il Partito Democratico, a sua volta, è anch’esso un partito in cui si ridisegnano gli uffici di presidenza, si rottamano le vecchie leadership correntizie e si azzerano i congressi. Bersaniani, Lettiani, dalemiani, persino i cuperliani sono messi al bando e lo slogan ufficioso è “Adesso tocca a noi”, ossia i trentenni e i quarantenni, di matrice prettamente renziana, ansiosi di scrollarsi di dosso vecchie etichette di sinistra. Il capogruppo Roberto Speranza lancia l’ “Area riformista” con l’obiettivo di “archiviare le contrapposizioni”; al giovane presidente dei deputati il premier Renzi ha affidato il compito di mediare in primo luogo per portare a casa le riforme senza molti intoppi e a colpi di numeri.

Gli assetti politici sono quindi precari e tutti i partiti sono sottoposti ad una rigida riscrittura delle posizioni interne. L’atteggiamento nei confronti di Renzi, inoltre, è ambivalente su tutti i fronti. Renato Brunetta non smette di definire Renzi un “populista d’attacco” e i suoi ministri “dilettanti allo sbaraglio”. Angelino Alfano di Ncd dichiara invece di condividere gli obiettivi nell’interesse del Paese finché il premier “promuoverà politiche economiche di centrodestra, finché si adopererà per un riassetto istituzionale che coincide con la nostra visione delle riforme”. “Una volta fondata la Terza Repubblica, torneremo a competere”, afferma Alfano.

Nelle file dei democratici, infine, l’atteggiamento verso il premier Renzi è piuttosto ambivalente, soprattutto per quanto riguarda la riforma del Senato. Proporre un Senato elettivo non significa “mettersi di traverso”, ha affermato Vannino Chiti, il senatore del Pd che, con l’appoggio delle firme di 22 deputati, ha presentato un disegno di legge costituzionale alternativo al programma del Governo: un Senato ridotto ma elettivo. “Renzi non è il verbo”, sostiene la minoranza Pd che cerca di portare avanti un progetto riformatore che per certi versi si oppone alle decisioni dell’esecutivo in carica.

Correre, infine, non è sempre utile, soprattutto quando si tratta di riforme fondamentali come le riforme istituzionali in grado di alterare i vecchi equilibri dello Stato liberal-democratico. Il conflitto di interessi rimane inoltre un problema gravoso che si ripercuote pesantemente sulla vita politica dell’Italia nel mirino degli osservatori internazionali a causa delle sue incongruenze. Dopo il 10 aprile lo scenario potrebbe mutare di nuovo, profondamente, e non è escluso che il capo di FI sfrutti la situazione tramutando la propria sventura personale nell’occasione per costruirsi una nuova legittimazione dimostrando di essere ancora in gioco e di avere ancora un ruolo, nonostante tutto.

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