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L’illusione della mediocrità

Un tempo la scuola serviva a distinguere chi aveva studiato da chi non lo aveva fatto, chi meritava da chi avrebbe dovuto impegnarsi di più. Oggi, invece, la scuola è diventata un grande palcoscenico dove tutti hanno diritto alla parte principale, indipendentemente dal talento e dallo sforzo. E se qualche insegnante osa ancora pretendere che uno studente impari la matematica o sappia scrivere in italiano, ci pensano i genitori indignati a portare il caso davanti al TAR. Perché bocciare è una crudeltà, un’ingiustizia sociale, una discriminazione. Meglio promuovere tutti, così nessuno piange.

E se proprio un ragazzo non riesce a superare l’anno neanche con la benevolenza dei professori, ecco il piano B: iscriversi a una scuola in Albania o in Romania, fare un giro turistico tra Tirana e Bucarest e tornare con un diploma fresco di stampa, senza aver mai visto un libro. Lo ha fatto anche il figlio di qualche noto politico, perché non il figlio di un operaio, magari maltrattato dai prof? Il risultato? Giovani con in tasca un pezzo di carta che vale meno del biglietto aereo che hanno usato per andarlo a prendere. Ma pagato chissà quanto.

La scuola italiana ha deciso che l’obiettivo non è più formare, ma rendere tutti uguali abbassando il livello generale. Lo sapeva già Trilussa, nella sua poesia L’aquila e il gallo, quando faceva dire al gallo: “Siamo entrambi uccelli, uguali. Voglio essere uguale a te!” e l’aquila rispondeva: “Allora sali in cielo, perché io di certo non scendo a terra”. Oggi, però, la scuola non dice più ai ragazzi di migliorarsi per essere all’altezza degli altri. No. La scuola preferisce abbassare il cielo fino a terra, così il gallo può credersi aquila senza nemmeno provare a volare.

E il bello è che nessuno si chiede che fine facciano quei ragazzi che avrebbero potuto davvero eccellere. Quanti studenti brillanti restano indietro perché la scuola deve occuparsi solo degli svantaggiati? In un sistema in cui il livello deve essere accessibile a tutti, i migliori diventano gli invisibili. In classe, un insegnante passa più tempo a cercare di portare avanti chi è in difficoltà che a stimolare chi potrebbe fare di più. Perché la scuola italiana ha deciso che la priorità non è formare i migliori, ma evitare che qualcuno si senta inferiore.

E il risultato è sotto gli occhi di tutti. Università con corsi dove gli studenti non sanno scrivere senza errori grammaticali, imprese che si ritrovano laureati incapaci di formulare un pensiero complesso, generazioni di ragazzi convinti che il loro diploma abbia un valore, salvo scoprire troppo tardi che il mondo del lavoro non ha tempo per i “tutti promossi”. Del resto, le notizie dei problemi di analfabetismo funzionale e di ritorno sono ogni giorno in cronaca.

A tutto questo si aggiungono i genitori, la vera rovina della scuola italiana. Un tempo un figlio tornava a casa con una nota sul diario e la sua giornata finiva male. Oggi, se un professore osa mettere un’insufficienza, il genitore scatta subito all’attacco. La colpa non è del ragazzo, che non ha studiato. È del professore, che pretende troppo. Se il figlio viene bocciato, si fa ricorso. Se viene sospeso, si minaccia di denunciare la scuola. E così gli insegnanti, che dovrebbero essere autorità e guida, si ritrovano a camminare sulle uova, terrorizzati dall’idea di un genitore furioso che vuole giustizia per il suo piccolo genio incompreso. E sorvoliamo sui genitori che aggrediscono i docenti e i figli che bullizzano gli insegnanti. È successo.

La scuola italiana è diventata il tempio della mediocrità. Un luogo in cui nessuno deve sentirsi inferiore, ma dove ormai nessuno è più superiore. Un sistema che si vanta di essere inclusivo, mentre seppellisce il talento sotto montagne di scuse e buonismo. E alla fine, quando questi ragazzi usciranno da scuola, troveranno un mondo che non ha tempo per i ricorsi al TAR e per i piagnistei. Scopriranno che fuori non c’è nessuno a proteggerli dall’insuccesso e che nella vita, diversamente dalla scuola, non tutti vengono promossi.

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