28 aprile, “di sicuro c’è solo che è morto”

La celebre frase usata dal giornalista Tommaso Besozzi per la morte del bandito Salvatore Giuliano ben può essere utilizzata per la morte di Benito Mussolini. Ciò che è certo e documentato da immagini che Ferruccio Parri non esitò a definire “da macelleria messicana”, facendo probabilmente riferimento alle immagini degli scempi commessi in Messico da rivoluzionari feroci. In ogni caso le scene di Piazzale Loreto dovevano essere ben ripugnanti se pensiamo che fu lo stesso Pertini, per il quale, comunque, giustizia era stata fatta, a ordinare la rimozione dei cadaveri del Duce, di Claretta Petacci e degli altri gerarchi fucilati in quei giorni.

La verità su quanto accaduto quel giorno è quella ufficiale che vede l’esecuzione di Mussolini da parte del “Colonnello Valerio”, Walter Audisio che colpì anche la Petacci che si trovò sulla traiettoria dei colpi di mitra? O dobbiamo dare voce anche alle altre ipotesi, alcune anche fantasiose, che sono successivamente emerse?

Di sicuro, Mussolini venne catturato il giorno prima. Nel pomeriggio del 27 aprile, durante l’ispezione di una colonna tedesca a Dongo, Mussolini venne riconosciuto dal partigiano Giuseppe Negri; disarmato del mitra e di una pistola fu preso in consegna dal vicecommissario di brigata Urbano Lazzaro “Bill” che lo accompagnò nel locale comune dove gli fu sequestrata la borsa.

Alla notizia, le forze Alleate si attivarono immediatamente. Era già stato stabilito che i leader delle nazioni dell’Asse sarebbero stati processati dalle potenze vincitrici e, in tal senso, una clausola dell’armistizio siglato a Malta nel 1943 da Eisenhower e dal maresciallo Badoglio, prevedeva che: «Benito Mussolini, i suoi principali associati fascisti e tutte le persone sospette di aver commesso delitti di guerra o reati analoghi, … saranno immediatamente arrestati e consegnati alle Forze delle Nazioni Unite». Un aereo era già stato inviato per prelevare l’ex Duce. Ciò nonostante, una Norimberga italiana, non si tenne.

Il 28 aprile, Audisio e con lui Aldo Lampredi “Guido” e Michele Moretti “Pietro”, si fa consegnare Mussolini e la Petacci e, secondo la versione ufficiale, giunti a Giulino, i due vengono fatti scendere e Audisio comunica al Duce che “Per ordine del Comando Generale del Corpo Volontario della Libertà sono incaricato di rendere giustizia al popolo italiano”. L’esecuzione pochi secondi dopo con un mitra che sparò, a detta dell’autore, cinque colpi prima del coup de grace. esploso da una pistola. Lo stesso giorno vennero fucilati almeno altri quindici gerarchi e generali fascisti, tra cui l’ex segretario Pavolini e il fratello della Petacci, Marcello.

Nella notte il camion che portava tutti i corpi giunse a Milano e, all’alba, alcuni passanti si accorsero dei cadaveri. Piazzale Loreto, luogo scelto simbolicamente in quanto vi erano stati fucilati dei partigiani l’anno prima. Prima di essere appesi per i piedi, i cadaveri furono oggetto di sputi e ben altro. Sembra che una donna sparò al cadavere di Mussolini e qualcuno orinò sul cadavere della Petacci alla quale erano state tolte le mutandine e fu un sacerdote a fermare la gonna con una cintura. Quel giorno venne fucilato, dopo un processo sommario, e anche lui appeso al distributore, Achille Starace.

È la versione ufficiale, ma è quella vera? La circostanza che l’autopsia non trovò tracce di cibo nei corpi di Mussolini e della Petacci lascia dubbi sull’ora della fucilazione e apre spiragli all’ipotesi che, in realtà, il suo autore fosse stato Luigi Longo, poi segretario del PCI.

Gode ancora di credito l’ipotesi che l’ordine di uccidere Mussolini venne dato da parte inglese per evitare che venisse reso pubblico un carteggio tra lo stesso Duce e Churchill che avrebbe avuto conseguenze negative per il Primo Ministro britannico. Altre ipotesi “alternative” si sono rincorse, ma quella ufficiale resta, pur con molte perplessità e incongruità, verosimilmente la più probabile.

La domanda che resta, specialmente per gli storici, è che cosa sarebbe potuto accadere se fosse stato celebrato un processo come a Norimberga che avrebbe potuto avere tra gli imputati, anche il Re d’Italia.

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