Cronache dai Palazzi

Sostegno all’Ucraina, sicurezza e difesa europea, Medio Oriente, ed ancora migrazioni ed agricoltura Sono questi i temi principali che hanno caratterizzato il Consiglio europeo. A proposito della “crisi sistemica” del settore agricolo la premier Meloni ha spiegato: “Abbiamo bisogno di adattare la Politica agricola comune: gli obiettivi rimangono gli stessi ma gli strumenti devono essere adattati a un contesto in continua mutazione; non possiamo gravare i nostri agricoltori di regole insostenibili e di burocrazia insostenibile”.

Per quanto riguarda la formazione di un nuovo sistema di difesa europea, invece, è necessario “fare i conti con le risorse a disposizione”. In questo contesto “sono favorevole a rafforzare l’industria della difesa ma dobbiamo fare i conti con le risorse a disposizione”, ha affermato Meloni. L’ipotesi riguarda la Banca europea per gli investimenti (Bei) che può investire solo su progetti di difesa dual use (civile e militare); i leader europei chiedono quindi alla Bei di “adattare la sua politica di prestiti all’industria della difesa e la sua attuale definizione di beni a doppio uso”. I 27 hanno inoltre chiesto alla Commissione e al Consiglio di “esplorare tutte le opzioni per mobilitare i finanziamenti” per la difesa. Tra i punti fondamentali del summit anche l’accordo per destinare circa 3 miliardi di asset russi congelati all’acquisto di armi per l’Ucraina e la richiesta di “una pausa umanitaria immediata” a Gaza. Il 90% dovrebbe essere destinato allo strumento europeo per la pace (Epf) per acquistare armi per Kiev, il restante 10% andrebbe invece al bilancio Ue per rafforzare l’industria della difesa ucraina. Ma serve l’unanimità.

A proposito della discussione attorno alla Banca europea per gli investimenti “trova molto consenso ma è un dibattito in divenire”, ha specificato la premier Meloni da Bruxelles. Le posizioni in Europa restano in sostanza molto distanti. Una delle ipotesi è quella di procedere con eurobond, ma in molti – ad esempio Germania ed Olanda, e anche l’Austria, sono contrari all’emissione di nuovo debito comune. Tra i paesi cosiddetti “frugali” vi è comunque qualcuno che inizia a dare segni di apertura, ad esempio la Svezia, il cui premier Ulf Kristersson ha ammesso che occorre “cominciare a mobilitare tutte le risorse che ci sono per sostenere l’Ucraina” dimostrandosi inoltre disponibile ad intavolare una eventuale “discussione” sugli eurobond. Francia, Italia, Spagna e Grecia sono invece a favore tirando in ballo anche i “project bond” per cui sarebbe richiesto il coinvolgimento solo di alcuni Paesi per finanziare infrastrutture e opere di pubblica utilità. I 27 hanno sollecitato “il Consiglio e la Commissione a esplorare tutte le opzioni per mobilitare i finanziamenti e a riferire entro giugno”.

In totale sarebbero destinati all’Ucraina 5 miliardi di nuovi fondi. Nella lettera di invito ai leader Ue, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha espressamente definito la situazione attuale la “più grande minaccia alla sicurezza dalla Seconda guerra mondiale”. In sostanza Michel afferma che “è giunto il momento di adottare misure radicali e concrete per essere pronti a difenderci e mettere l’economia dell’Ue sul ‘piede di guerra’”. Una situazione che dopo l’attentato di Mosca di venerdì 22 marzo diventa ancor più complessa.

“Abbiamo tre obiettivi”, ha spiegato Charles Michel al termine del Consiglio europeo: “Sostenere l’Ucraina adesso; spendere meglio e più velocemente insieme; un accesso più semplice ai finanziamenti pubblici e privati per il settore della difesa”.

“Abbiamo riaffermato l’unità dell’Europa, ha chiosato il presidente del Consiglio europeo Michel, mentre la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha chiarito che con l’intesa sugli asset per quest’anno si potrebbero avere a disposizione tre miliardi di euro da spendere per l’acquisto di equipaggiamenti militari da fornire a Kiev ed il primo miliardo di euro potrebbe essere disponibile per essere speso già a luglio se “saremo veloci a prendere le necessarie decisioni”. In definitiva, per quanto riguarda la difesa Michel ha assicurato “un cambiamento di paradigma del progetto europeo”, in passato “affidata alle competenze nazionali”. Si è deciso di “rafforzare il pilastro europeo” e l’Unione europea “s’impegna ad aumentare la propria preparazione e le proprie capacità di difesa per soddisfare le proprie esigenze e ambizioni nel contesto delle crescenti minacce e sfide alla sicurezza, riducendo le sue dipendenze strategiche e aumentando le sue capacità”.

Nello specifico la Commissione europea ha presentato un progetto industriale in campo militare che mira a promuovere la cooperazione tra le aziende del settore, facilitando gli acquisti in comune degli armamenti. Si è giunti a tale decisione dopo due anni di conflitto in Ucraina e affidandosi ad un piano di investimenti (Edip) da 1,5 miliardi di euro fino al 2027, per poter accelerare la produzione. Il piano prevede inoltre un programma di acquisti per almeno il 40% delle armi entro il 2030, appalti comuni e misure tali da garantire che, entro il 2030, almeno il 35% dell’intero valore del mercato si sviluppi all’interno dell’Ue. La premier Giorgia Meloni ha ribadito che è “garantito il sostegno all’Ucraina”. In sostanza “si fanno tutti gli sforzi possibili e il Consiglio dà risposte. Anche l’Italia fa tutto quello che può e siamo molto convinti di quello che facciamo per costruire la pace e difendere il rispetto delle regole”, ha affermato Meloni al termine del Consiglio europeo.

A proposito di flussi migratori, provenienti in primo luogo dal continente africano, “negli ultimi mesi abbiamo ottenuto molti importanti risultati con un approccio pragmatico e serio, sul quale abbiamo piano piano e sempre di più portato i nostri partner ad ascoltarci”, ha evidenziato Meloni puntualizzando, inoltre, che la strategia “non è più concentrata sulla distribuzione all’interno dei confini europei di migranti che entrano in Europa attraverso le reti di trafficanti, ma concentrano l’attenzione sulla dimensione esterna e collaborando con i Paesi d’origine e di transito”.

Per la premier “sulle migrazioni il testo delle conclusioni è perfettamente soddisfacente, in tema di lotta a trafficanti e dimensione esterna”. Inoltre “il Consiglio saluta positivamente l’iniziativa in Egitto – ha aggiunto Meloni -, viene inserito il riferimento all’alleanza globale contro i trafficanti e si spinge la Commissione a lavorare sulla dimensione esterna e il traffico di esseri umani”.

Nel corso della sessione di lavoro dei leader Ue con il segretario dell’Onu Antonio Guterres la premier Giorgia Meloni ha sottolineato l’importanza di sostenere la crescita economica e sociale del ‘Global South’ attraverso un importante piano di finanziamenti legato al Piano Mattei e alla strategia Global Gateway dell’Unione europea. Un tema che l’Italia affronterà anche nel corso del G7 a presidenza italiana di luglio, promuovendo un’alleanza globale contro il traffico di migranti e su cui anche l’Onu può offrire un contributo essenziale.

Intervenendo in chiusura agli Stati generali dell’Italia a Bruxelles, la presidente del Consiglio ha assicurato che “il governo italiano, le nostre rappresentanze, l’Ambasciata”, tutti i corpi istituzionali, lavorano “per un’Italia che possa essere sempre più autorevole e più credibile, e sempre più in grado in un tempo di tempesta di affrontare quella tempesta a testa alta”.

Per quanto riguarda il Piano nazionale di ripresa e resilienza, Meloni ha puntualizzato: “Ad oggi, con tutte le difficoltà di avere il Pnrr più imponente tra i Paesi europei, penso che possiamo essere fieri del fatto che la Commissione dice che siamo la nazione che lo sta implementando con maggiore velocità”. Sul fronte interno le prospettive non sono così rassicuranti dato lo scontro sul Pnrr tra il Governo e la Corte dei Conti. Le critiche dei magistrati mirano a rilevare che la revisione dei fondi potrebbe comportare problemi di finanziamento per la sanità. Ma di fronte all’Aula di Montecitorio, supportata dal ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto, Meloni ha replicato: “Il Pnrr assegnava complessivamente 15 miliardi e 625 milioni alla sanità. Dopo la revisione la dotazione resta di 15 miliardi e 625 milioni, più 500 aggiuntivi per l’incremento dei costi delle materie prime”. Il ministro Fitto specifica inoltre che “il decreto non ha operato nessuna riduzione delle risorse ma ha solo rimodulato le fonti di finanziamento, riallocando i progetti che non potevano essere chiusi e rendicontati entro il 2026 secondo le modalità previste dal Pnrr e dal Piano nazionale complementare”.

In definitiva Fitto puntualizza che non è stato applicato alcun definanziamento ma la Corte dei Conti mette in chiaro che diverse risorse confluite nel Fondo per l’edilizia sanitaria, da distribuire tra le Regioni per circa 2,2 miliardi, pur essendo ciò previsto dalla legislazione vigente le risorse di quel Fondo non rientravano nei tendenziali di spesa e potrebbero essere usate dalle Regioni solo avendo spazio finanziario in bilancio. “Il loro utilizzo è subordinato alla indicazione in bilancio di importi spendibili compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica”, come si legge nella Memoria consegnata alla Camera che, nel contempo, esaminava il decreto Pnrr oberato da 1.300 emendamenti. Con la revisione sembra siano stati spostati dal Pnrr circa 750 milioni di interventi riportandoli alla fonte di finanziamento originaria.

Secondo la Corte dei Conti è una misura “asistematica” anche la nuova governance del Pnrr che affida alla Struttura di Missione di Palazzo Chigi, guidata dal ministro Fitto, nuovi compiti ispettivi sui soggetti attuatori, enti locali, Regioni comprese. Critiche respinte da Palazzo Chigi che ritiene la suddetta misura necessaria per “la verifica della coerenza della fase di attuazione del Pnrr rispetto agli obiettivi programmati” e per la “definizione delle eventuali misure correttive ritenute necessarie” che sono funzioni peculiari della Struttura. Il presidente della Corte Guido Carlino, pur non soffermandosi sui particolari, difende il ruolo della Corte auspicando che “gli interventi normativi sui controlli e le responsabilità possano essere organici e coerenti con la collocazione costituzionale della Corte” la cui attività è connotata “unicamente dalla soddisfazione dell’interesse pubblico”.

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