L’uomo che vendette la sua pelle (Film, 2020)

Kaouther Ben Hania è la prima regista tunisina candidata al Premio Oscar per il miglior film internazionale, nel frattempo si prende la soddisfazione di far man bassa di premi a Venezia e a Stoccolma con L’uomo che vendette la sua pelle, ben interpretato da Yahya Mahayni, da lei stessa sceneggiato con gusto della suspense e del colpo di scena finale.

La trama si basa sulla storia di Sam Alì che durante la guerra deve fuggire dalla Siria per evitare la galera e che cerca con ogni mezzo di ricongiungersi alla fidanzata Abeer (Liane), che (per fuggire da una terra martoriata) ha sposato un ambasciatore siriano ed è andata a vivere in Belgio. Sam Alì conosce un artista americano (De Bouw) e la sua assistente Soraya (Bellucci), così stipula un singolare accordo che ha per oggetto l’uso della sua pelle a fini artistici. Sam Alì si trasforma in un’opera d’arte vivente, esposta nei musei europei, contesa dai collezionisti e venduta in aste pubbliche frequentate da ricchi nababbi. Il resto lo lasciamo alla scoperta dello spettatore che resterà appassionato dalla visione di un film capace di passare dal registro drammatico alla commedia, senza trascurare il lato sentimentale e un finale in sintonia con il thriller.

Kaouther Ben Hania riceve con merito il premio per l’inclusione Edipo Re, perché la pellicola, ispirata all’opera d’arte moderna Tim (2006) dell’artista belga Wim Delvoye (che recita un cameo), è un atto di accusa nei confronti dei governi che ritengono un pericolo siriani, palestinesi, arabi in genere e non accettano di accoglierli nei loro paesi. Il significato intrinseco della pellicola vorrebbe confrontare l’uomo con una merce, affermando che per assurdo è più facile far passare un oggetto artistico da un paese all’altro che una persona. La trasformazione in merce rende liberi, anche se la tesi dell’artista, che tatua un enorme visto sulla schiena del protagonista, viene sconfessata dall’evolversi della storia. Un altro elemento interessante è il confronto tra il desiderio di fuga da un paese sconvolto dalla guerra e il desiderio di tornare nella terra natale dove sono rimasti gli affetti più cari.

Ottimi gli interpreti, primo tra tutti il protagonista Yahya Mahayni, ma non è meno intensa la bellissima Dea Liane (un’araba dagli occhi azzurri), così come è efficace Monica Bellucci in un ruolo da perfida e interessata consulente d’arte. Fotografia africana bruciata dal sole con belle sequenze in dissolvenza; montaggio compassato; colonna sonora ricca di musiche arabe. Tecnica di regia compiuta, movimenti di macchina originali, tra le tante cose insolite uno split screen (schermo diviso durante una telefonata) che da anni non vedevamo. Un film provocatorio sulla funzione dell’arte, un thriller sentimentale, in definitiva una storia interessante, ben girata, da vedere.

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Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Kaouther Ben Hania. Fotografia: Christopher Aoun. Montaggio: Marie-Hélène Dozo. Musiche: Amine Bouhafa. Scenografia: Sophie Abdelke. Costumi: Randa Khedher. Trucco: Marilyne Scarselli, Florence Depestele. Produttori: Habib Attia, Nadim Cheikhrouha, Martin Hampel, Thanassis Karathanos, Annabella Nezri, Andreas Rocksén. Case di Produzione: Cinételéfilms, Tanit Films, Twenty Twenty Vision, Kwassa Films, Laika Film & Television, Metafora Media Production, Sunnyland Film, Film i Vast, Voo & BeTV, Istiqlal Films. Paesi di Produzione: Tunisia, Francia, Belgio, Germania, Svezia, Turchia, Cipro. Lingue: Arabo, Levantino, Inglese, Francese. Distribuzione Italia: Wanted Cinema. Durata: 104’. Genere: Drammatico. Interpreti: Yahya Mahayni (Sam Alì), Koen De Bouw (Jeffrey Godefroi), Monica Bellucci (Soraya), Dea Liane (Abeer), Darina Al-Joundi (madre di Sam), Christian Vadim (William), Wim Delvoye (assicuratore), Saad Lostan (Ziad), Jan Dahouh (Hazem).

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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