Haiti, già quattro anni

Migliaia di Haitiani, la maggior parte vestita di bianco, Domenica 12 Gennaio si è data appuntamento nelle chiese per celebrare il quarto anniversario del sisma che ha raso al suolo l’isola. Quel giorno di quattro anni fa sono morte di più di 250mila persone.

Il Presidente Michel Martelly, accompagnato dalla Première dame, ha deposto una corona di fiori a Saint Christophe, luogo diventato un simbolo  per il Paese, perché lì sono state sepolte in una grande fossa comune numerose vittime del terremoto. Una cerimonia ecumenica è stata poi celebrata all’ora esatta in cui Haiti è stata in balia delle onde distruttrici per 35 lunghi secondi. Migliaia di Haitiani riuniti davanti alla tribuna d’onore, hanno osservato un minuto di silenzio in memoria delle vittime  dopo aver lasciato volar via nei cieli della capitale tanti palloncini bianchi. Il Presidente, anche lui vestito di bianco, ha salutato la memoria delle vittime della catastrofe: “35 secondi… è il lasso di tempo che è servito affinché il 12 Gennaio 2010 venisse ricordato per aver avvolto nelle tenebre Haiti. Quel giorno ci siamo messi tutti a piangere in preda alla desolazione”, ha detto Martelly ringraziando “gli amici di Haiti arrivati da ovunque per soccorrere gli Haitiani”. Quattro anni dopo, ha esortato i suoi compatrioti ad unirsi per la ricostruzione. “Oggi, abbiamo scelto di celebrare la vita. E’ la mia parola d’ordine per far fronte alle sfide del futuro. Andiamo avanti con i nostri mezzi nella ricostruzione del Paese”, ha ribadito il Capo di Stato haitiano. “Haiti è come una canna, si piega ma non si rompe”, ha concluso.  Il 12 Gennaio è diventato “giornata di commemorazione e riflessione” per decreto presidenziale.

Quattro anni dopo il sisma, l’isola raccoglie poco per volta le sfide della ricostruzione, cercando soprattutto di impedire la fuga di cervelli, unica vera risorsa che possa contribuire al suo sviluppo. Dei passi avanti sono stati compiuti, ma rimane sempre un lavoro importante da realizzare. Oggi all’89% degli 1,5 milioni di profughi è stata ridata una casa. 145mila persone vivono però ancora nei campi, o in tantissimi siti non ufficiali dislocati su terreni pubblici e privati. Tra questi, 78 mila persone sono minacciate di sfratto da chi rivuole la sua terra. I progressi sono tangibili, ma per quanto riguarda la ricostruzione vera e propria, gli ostacoli strutturali non sono facili da superare. L’isola conosce un deficit di governance politica e le tensioni sono molto forti. Se è vero che le elezioni presidenziali del 2011 sono andate a buon fine, i sindaci in carica hanno da tempo esaurito il loro mandato e non c’è sentore di elezioni amministrative. Il Governo poi, ha molte difficoltà a consolidare il suo potere davanti ad una corruzione pregnante, anche se lo Stato haitiano si impegna sempre più ad elaborare strategie globali nell’Amministrazione della cosa pubblica. Per raccogliere le sfide ed accelerare lo sviluppo, Haiti ha bisogno di tutte le sue forze. Ma da tempo si vede confrontata alla fuga delle menti di più alto livello. E’ uno dei drammi più importanti che vive il settore universitario. Formare una nuova generazione di insegnanti e ricercatori esperti, attori principali dello sviluppo di un Paese che deve crescere ed evolvere. Si lotta ogni giorno affinché la formazione avvenga sul posto, ma questa lotta sta portando i suoi frutti. Prima del terremoto era quasi impossibile laurearsi ad Haiti. I laureandi andavano all’estero e in pochi tornavano. Oggi le cose vanno un po’ meglio, i ragazzi possono seguire corsi di laurea e seminari da 17 campus che permettono l’insegnamento a distanza. A vedere il numero crescente di rettori nelle università haitiane, la diaspora, che si è mobilitata finanziariamente dopo il sisma, comincia a tornare. Gli Haitiani che insegnavano negli Stati Uniti e in Canada accettano di tenere corsi nei loro paese d’origine. Anche per questo è importante modernizzare le strutture, per far si che questi professori affermati ritrovino ad Haiti le condizioni di lavoro simili a quelle che conoscono all’estero e si sentano motivati a tornare. Anche le borse di studio permettono di mantenere o far tornare i cervelli Haitiani. Un obiettivo importante è far arrivare il messaggio che ottenere un master o un dottorato nel proprio Paese è meglio che farlo altrove, perché a casa si sta sicuramente meglio. Soprattutto se “casa”  ha bisogno delle tue competenze per crescere.

Il 12 gennaio del 2010 al Mondo intero arrivavano le spaventose immagini della catastrofe. Davanti all’ampiezza del dramma e all’urgenza, la solidarietà internazionale è stata massiccia, purtroppo oggi, nonostante gli sforzi fatti dal Paese, il bilancio finale è severo: molti dei soldi spesi soprattutto attraverso le ONG non ha aiutato Haiti. Spendere 5 milioni di dollari e vedere le condizioni di vita della popolazione quattro anni dopo, può essere considerato come uno spreco: assistenza non è sinonimo di ricostruzione. Se non si hanno istituzioni solide, né risorse umane competenti i soldi rischiano di svanire nel nulla. Questo sembra essere stato il destino di Haiti ed è il parere degli osservatori locali. In effetti, più della metà della popolazione haitiana si ritrova a sopravvivere con meno di un dollaro al giorno. Più di 7 milioni di persone vive con meno di 2 dollari al giorno. I fondi promessi dopo l’emergenza iniziale non arrivano più al ritmo sperato. Probabilmente questo è dovuto anche al ritardo di Haiti nel rafforzare la sua Democrazia e le sue Istituzioni. Si spiegherebbe così in parte le esitazioni della comunità internazionale.  Ma altri fattori influiscono: altri Paesi che vivono altre crisi umanitarie come la Siria, le Filippine, il Centrafrica o il Sudan del Sud, attirano ormai l’attenzione di chi eroga finanziamenti internazionali. Haiti non sembra essere fra le priorità.

Gli Haitiani, da qualsiasi classe sociale provengano, sperano che non si parli più del loro Paese solo per via della catastrofe naturale che l’ha messo in ginocchio o per le sue crisi politiche. Il sogno di tutta una Nazione di vedere una nuova Haiti risorgere dalle ceneri non si è ancora realizzato, ma la popolazione si impone di guardare avanti.

©Futuro Europa®

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