Cronache dai Palazzi

La riforma della Giustizia – elemento chiave del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) – ha un nuovo testo, ottenuto combattendo non poche asperità all’interno della maggioranza. Dopo numerose trattative, rilanci e vari tentativi di rinvio, il Consiglio dei ministri ha varato la riforma anche grazie alla fermezza del premier Draghi che ha richiamato tutte le parti politiche al senso del dovere: “Chiedo lealtà, mi appello al vostro senso di responsabilità. Questa riforma è legata al Pnrr, è fondamentale e io voglio una maggioranza compatta e responsabile”, ha affermato il presidente del Consiglio chiedendo ai partiti di deporre le bandierine. “È un testo bello, di alta dignità. Ma se un ministro non se la sente di prendere questo impegno può votare contro”, ha affermato il premier ottenendo con ciò un via libera unanime.

Il nodo più difficile da sciogliere resta la prescrizione e il maxiemendamento, che verrà presentato alla riforma Cartabia già in discussione, prevede lo stop dopo la sentenza di primo grado per tutti gli imputati, due anni per l’appello e uno per la Cassazione. Dopodiché non si potrà più procedere. La riforma prevede inoltre più tempo a disposizione per processi di corruzione, concussione e una lista di altri reati contro la Pubblica amministrazione e non solo. Ad esempio, oltre alla corruzione, per reati gravi come mafia, terrorismo, droga –  così come per procedimenti particolarmente articolati – i termini di durata massima possono essere prorogati fino a tre anni in appello e un anno e mezzo in Cassazione. In generale dopo la sentenza di primo grado la prescrizione cessa di decorrere sia per gli assolti sia per i condannati; sono previsti tempi tassativi per i processi di appello e in Cassazione dopo i quali viene dichiarata l’improcedibilità, il cui decorso dei termini verrà sospeso con gli stessi criteri utilizzati fin ad oggi per interrompere il decorso della prescrizione con l’intento di evitare eventuali manovre dilatatorie. Se viene stoppato il processo penale il giudice civile può comunque decidere riguardo ad eventuali risarcimenti in favore delle parti lese.

La richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero si dovrà basare su “una ragionevole previsione di condanna” dell’imputato e non, come accade ora, se sussistono elementi che consentono di sostenere l’accusa in giudizio. Tutto ciò perché è stato constatato che molti degli imputati, circa il 40%, vengono assolti in primo grado. Si propone inoltre di limitare l’udienza preliminare a reati di particolare gravità, considerata la scarna percentuale di proscioglimenti (10%). In sostanza i tempi dell’indagine preliminare saranno direttamente proporzionali alla gravità dei reati e nel caso in cui la situazione si areni il gip può chiedere al pm di prendere una decisione.

Per far sì che l’esercizio dell’azione penale soddisfi idonei criteri di efficacia ed efficienza, le Procure dovranno inoltre indicare da parte loro delle priorità, in maniera “trasparente e predeterminata”, da riportare nei progetti organizzativi da far visionare al Consiglio superiore della magistratura, nell’ambito dei “criteri generali” individuati con legge dal Parlamento. Riti speciali o alternativi saranno anch’essi finalizzati alla riduzione della durata dei tempi processuali. Ad esempio la riduzione di pena (attualmente di un terzo) per coloro che scelgono il rito abbreviato verrà potenziata di un sesto nel caso in cui l’imputato rinunciasse all’impugnazione della sentenza. Ed infine la digitalizzazione del processo sarà incentivata anche sulla base di ciò che già avviene nel processo civile, ad esempio attraverso il deposito degli atti e le notificazioni per via telematica, tanto da garantire un ulteriore velocizzazione dei tempi.

“Una maggioranza eterogenea richiede compromessi, ma nessuno può tenersi le mani libere in Parlamento”, ha ammonito Mario Draghi di fronte ai continui rilanci delle diverse parti politiche. Ai Cinque Stelle non piace l’intesa sulla prescrizione con i due anni per l’appello e un anno per la Cassazione e il Movimento avverte che non arretrerà di un centimetro: “In Parlamento ci sarà l’occasione di apportare modifiche tecniche limitate”, ha dichiarato il capo delegazione Patuanelli. Giorgetti sostiene invece che “la decorrenza del prolungamento non è chiara”. Mentre Forza Italia manifesta le proprie perplessità sulla mediazione che prevede tempi del processo più lunghi per i reati contro la Pubblica amministrazione, tre anni per il processo di appello e diciotto mesi per quello in Cassazione.

In sostanza la “terza via” di Marta Cartabia si fonda sull’obiettivo di ridurre i tempi dei giudizi per evitare ogni tentativo di improcedibilità. “Un processo senza fine si traduce in un doppio danno che colpisce tanto gli imputati, che vedono violato sulla loro pelle il diritto costituzionale alla ragionevole durata del giudizio, quanto le vittime dei reati, sospese nell’attesa di una parola di giustizia che non arriva”, ha affermato la Guardiasigilli. In sostanza per la ministra della Giustizia il problema da risolvere più che la prescrizione riguarda la durata del processo: l’improcedibilità, ossia tempi prefissati per il giudizio in secondo grado e in Cassazione, potrebbe rappresentare la chiave di volta.

“Dobbiamo arrivare all’immagine di un processo in cui tutti si riconoscono, dall’iscrizione sul registro degli indagati alla sentenza definitiva”, ha dichiarato Cartabia che nel suo tentativo di riforma difende, tra le altre cose, nuove norme di giustizia riparativa, attraverso percorsi volontari di riconciliazione tra vittime e colpevoli, ed ancora l’allargamento delle possibilità della messa alla prova per imputati e condannati che accettino progetti “di riparazione”.

“Senza riforma della Giustizia, niente fondi del Recovery”, ha affermato la ministra di via Arenula rimarcando la necessità della riforma, sia per l’erogazione dei fondi del Pnrr sia per l’affidabilità del Paese. La riduzione dei tempi e il recupero dei procedimenti arretrati sono due fattori indispensabili per attrarre in Italia investimenti stranieri e per poter rispettare gli impegni presi con l’Unione europea. Nel complesso la lentezza delle riforme rappresenta un limite del potenziale di crescita dell’Italia, messo nero su bianco dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Martedì prossimo inizierà il suo percorso di discussione parlamentare anche il ddl Zan tra pregiudiziali, emendamenti e eventuali mosse ostruzionistiche, magari con l’intenzione di far slittare il disegno di legge a settembre anche a causa dei notevoli punti di disaccordo tra le diverse parti politiche.

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