Operazione finale (Film, 2018)

Un film d’autore che racconta una missione di spionaggio internazionale con la struttura del cinema di genere ma con tutta la poesia e l’intensità del miglior cinema colto, quello che – prima della pandemia – eravamo abituati a vedere nelle sale d’essai e nei cineclub.

Operazione finale di Chris Weitz parte da una storia vera datata 1960 con la cattura del criminale nazista Adolf Eichmann, nascosto insieme alla famiglia, sotto falsa identità, in Argentina, protetto da un gruppo di nazisti locali che proseguono un’assurda lotta contro gli ebrei, obiettivo la scalata al potere. Il film, ben girato tra Israele e Buenos Aires, racconta le mosse di un gruppo di agenti del controspionaggio israeliano, la cattura – avvenuta per merito di Peter Malkin – e la prigionia del criminale, la rocambolesca estradizione in aereo e il processo con relativa condanna a morte (impiccagione) per genocidio e crimini conto l’umanità. Peter rivede per tutto il film il fantasma della sorella, trucidata con i suoi tre bambini, che l’accompagna nelle gesta e gli dà la forza per combattere e per assicurare un mostro alla giustizia. Bellissimo il finale, quando il processo volge al termine, il criminale è in galera, Peter esce dal tribunale e vede avvicinarsi la sorella con i figli, quindi scomparire in un bosco, lo stesso bosco dove era stata trucidata. Giustizia è fatta.

Avevo visto un altro film sul caso Eichmann, girato nel 2007 dal tedesco Robert Young, incentrato su processo e interrogatorio, sui silenzi del criminale, fino alla condanna, intenso e coinvolgente, rispettoso della storia. Operazione finale è più godibile come cinema puro, come storia d’azione, non fine a sé stessa, ma con una ben precisa morale e un discorso precostituito contro genocidio, razzismo e guerra. Matthew Orton sceneggia la storia senza punti morti; il montaggio di Pamela Martin segue un andamento lineare, consequenziale, con pochi flashback onirici; il regista fotografa suggestivi spaccati argentini, apprezziamo una cura certosina per la ricostruzione di ambienti e costumi, pregevole la colorazione ocra, anticata, per dare risalto a una storia ambientata nel recente passato. La guerra e lo sterminio, invece, sono narrati in bianco e nero, così come si evita di eccedere nel mostrare cose orribili, anche se un camion di morti resta impresso nella memoria, così come la fucilazione in fossa di alcune centinaia di ebrei, tra questi donne e bambini. Fotografia curata dal bravissimo Javier Aguirresarobe.

Tra i momenti migliori del film la prigionia di Eichmann in Argentina e il rapporto con i carcerieri, dove ognuno viene lasciato libero di narrare la sua verità, fino al momento in cui l’anima nera e turpe del nazista prende il sopravvento e tutto il suo odio nei confronti degli ebrei diventa manifesto. Un film diverso dal solito su un tema abbastanza sfruttato, quindi difficile da trattare con stile originale. Chris Weitz ci riesce. Passato su Rai Tre. Recuperatelo su RaiPlay.

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Regia: Chris Weitz. Sceneggiatura: Matthew Orton. Fotografia: Javier Aguirresarobe. Montaggio: Pamela Martin. Musiche: Alexandre Desplat. Scenografia: David Brisbin. Produttore: Fred Berger, Oscar Isaac, Brian Kavanaugh-Jones, Jason Spire. Produttore Esecutivo: Ron Schmidt, Matt Charman. Casa di Produzione: Automatik Entertainment. Distribuzione in Italiano: Netflix. Lingua: inglese, spagnolo. Paese di Produzione: USA, 2018. Genere: drammatico, storico, biografico. Interpreti: Oscar Isaac (Peter Malkin), Ben Kingsley (Adolf Eichmann), Mélanie Laurent (Hanna), Nick Kroll (Rafi Eitan), Joe Alwyn (Klaus Eichmann), Lior Raz (Irrer Harel), Haley Lu Richardson (Sylvia Herman), Michael Aronov (Zvi Aharoni), Peter Strauss (Lothar Hermann), Ohad Knoller (Ephraim Llani), Toben Liebrecht (Yaakov Gat), Pêpê Rapazote (Carlos Füldner), Greta Scacchi (Vera Eichmann).

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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