Cronache dai Palazzi

In Parlamento il premier Draghi ha presentato a deputati e senatori l’agenda dell’Italia prima dell’ultimo Consiglio europeo. “Questi incontri con il Parlamento hanno molti aspetti positivi” tra i quali rendere “la voce dell’Italia molto più forte”.

Occorre poter “guardare al futuro” sia per quanto riguarda la ripresa economica sia a proposito di vaccini. Il nuovo piano vaccini dell’esecutivo prevede un centro vaccinale in ogni città d’Italia. Un “hub” da 800 vaccinazioni al giorno con due medici, 7 infermieri, operatori sociosanitari, volontari e personale amministrativo. Centri medici e farmacie, aziende e task force di rinforzo messe in atto dalla Protezione civile supporteranno inoltre la rete di intervento per la somministrazione dei vaccini. L’obiettivo primario è raggiungere il maggior numero di persone nel minor tempo possibile. Nel corso di un vertice Stato-Regioni, sono state messe a punto nuove “linee di indirizzo organizzativo e strutturale dei punti vaccinali territoriali straordinari” da applicare sull’intero territorio nazionale.

Per quanto riguarda le vaccinazioni effettuate “il governo intende assicurare la massima trasparenza ai dati sui vaccini e renderà pubblici tutti i dati sul sito della Presidenza del Consiglio, Regione per Regione, categoria di età per categoria di età”.

Rimane fermo l’obiettivo di 500 mila vaccinazioni al giorno. “L’accelerazione della campagna vaccinale è già visibile nei dati. Nelle prime tre settimane di marzo, la media giornaliera delle somministrazioni è stata di quasi 170.000 dosi al giorno, più del doppio dei due mesi precedenti”. Tutto ciò nonostante “il blocco temporaneo delle somministrazioni di AstraZeneca, che sono state in parte compensate con un aumento delle vaccinazioni con Pfizer. Ma il nostro obiettivo è portare presto il ritmo di somministrazioni a mezzo milione al giorno”, assicura Palazzo Chigi. L’importante è “guardare avanti”, ha ribadito il presidente del Consiglio.

In Italia ora le cose “vanno abbastanza bene”, ma ovviamente occorre “imparare da chi sta facendo meglio e più in fretta di noi, come la Gran Bretagna”. Gli inglesi “hanno iniziato due mesi prima” però è anche vero che “lì si utilizza un gran numero di siti vaccinali e un gran numero di persone è abilitato a somministrare i vaccini”,  ed inoltre “il richiamo della seconda dose è stato spostato nel tempo rispetto a quanto avviene in Europa”. In sostanza “quello che abbiamo da imparare è che una volta che abbiamo una logistica efficiente, e l’abbiamo, con meno requisiti formali e con un maggior pragmatismo, si arriva anche ad una maggiore velocità”.

Per quanto riguarda la gestione di qualsiasi cosa, compresi i vaccini, non tutto “il vecchio” è da buttare, bensì occorre conservare e rivitalizzare “il vecchio che va bene” e, ovviamente, attuare anche “il nuovo” che potrebbe rivelarsi migliore rispetto ai programmi del passato, ha spiegato il premier Draghi in conferenza stampa a Palazzo Chigi.

Sui vaccini il presidente del Consiglio punta infine a un coordinamento a livello europeo e chiederà alla Commissione di pretendere dalle case farmaceutiche “il pieno rispetto degli impegni contrattuali. L’Unione europea deve fare pieno uso di tutti gli strumenti disponibili, incluso il Regolamento per l’esportazione dei vaccini, approvato il 30 gennaio – ha affermato il premier -. Questo regolamento fa chiarezza sulla distribuzione dei vaccini al di fuori dell’Ue, in particolare verso Paesi che non versano in condizioni di vulnerabilità, e riteniamo, e lo abbiamo dimostrato, che va applicato quanto necessario”. In sostanza non si escludono nuovi blocchi alle esportazioni anche alla luce dei criteri di reciprocità negli scambi dei vaccini e di proporzionalità a proposito di situazioni sanitarie diverse dei diversi Stati membri, su cui la Commissione europea è chiamata a vigilare.

Il premier ha inoltre bacchettato le Regioni italiane per aver “trascurato gli anziani” e i più fragili a proposito di vaccinazioni; le Regioni hanno prontamente risposto che “il piano vaccinale è stato elaborato dal governo”.

In generale nel nostro Paese la media di vaccinati è al 38,9% contro il 54,4% della media europea. I numeri scendono ulteriormente se si considera la seconda dose che in Europa è al 23,2% e in Italia all’11,9. Un divario che andrebbe colmato in tempi celeri anche per poter riavviare al meglio e in sicurezza tutte le attività economiche.

A proposito di categorie e priorità le Regioni si difendono dicendo che il piano vaccinale presentato in Parlamento il 7 febbraio dal ministro Roberto Speranza prevedeva, tra le raccomandazioni, di non usare il vaccino AstraZeneca oltre i 55 anni, e poi oltre i 65. In questo modo sarebbero quindi passati avanti ai più anziani e ai più fragili giovani docenti, avvocati e militari.  In pratica le Regioni si sono difese dicendo che hanno vaccinato altre categorie per non tenere fermi circa 2 milioni e mezzo di dosi di AstraZeneca, un vaccino che all’inizio è stato per l’appunto sconsigliato per i più fragili e per gli ultraottantenni.

Nel  corso del Consiglio europeo in videoconferenza i Ventisette hanno anche affrontato la questione della produzione di vaccini e la capacità di distribuzione, oltre all’esportazione fuori dall’Unione europea e la strategia da adottare nei confronti delle case farmaceutiche inadempienti. Per Draghi “i cittadini europei hanno la sensazione di essere stati ingannati da alcune case farmaceutiche”. Per la presidente Ursula von der Leyen “AstraZeneca deve prima di tutto recuperare” sulle dosi che erano state concordate con l’Ue, “e onorare il contratto con gli Stati membri prima di poter impegnarsi di nuovo nell’esportazione dei vaccini”.

Del resto AstraZeneca aveva ipotizzato di consegnare all’Unione europea 120 milioni di dosi nel primo trimestre e ne sono arrivate appena 18 milioni sui 30 milioni attesi. La presidente von der Leyen ha spiegato che le attese per il secondo trimestre sono di 360 milioni di dosi, tra le quali 200 milioni da Pfizer-BioNTech, 70 milioni da AstraZeneca (e non 180 come promesso), 35 milioni da Moderna e 55 milioni da Johnson&Johnson. A proposito di esportazioni di vaccini il nodo principale riguarda il Regno Unito dove, da febbraio, sono arrivati 11 milioni di vaccini ma nessuna dose è partita verso l’Europa. Gli inglesi hanno inoltre bisogno delle dosi europee per poter garantire i richiami. I leader Ue hanno discusso anche di certificato verde digitale e di come poter supportare il piano vaccinale di Paesi come Bulgaria, Croazia e Lettonia.

Occorrerà infine evitare errori durante la ripresa economica. Rivolgendosi agli altri leader Ue il premier Draghi ha affermato: “Dobbiamo disegnare una cornice per la politica fiscale che sia in grado di portarci fuori dalla crisi e prendere esempio dagli Stati Uniti che hanno un’unione dei mercati dei capitali e un’unione bancaria completa, elementi chiave del ruolo internazionale del dollaro”. A questi obiettivi Draghi ha aggiunto “un impegno politico da prendere, anche se di lungo periodo, quello della creazione di un titolo comune europeo” verso il quale l’Europa deve iniziare ad incamminarsi, tenendo ben presente il percorso da seguire e la meta da raggiungere, senza perder tempo inseguendo obiettivi marginali che avrebbero l’effetto deleterio di produrre effetti altrettanto poco importanti.

Serve correggere alcuni difetti di fondo che l’emergenza provocata dalla pandemia ha rivelato ed estremizzato. Ed ecco che riemerge la necessità di un’idea chiara di futuro: alla luce delle difficoltà poste dalla crisi sanitaria, economica e sociale scatenata dal Covid-19 l’Italia e L’Europa devono aver chiaro il loro progetto per un domani migliore.

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