Camera di Consiglio

L’ALIENAZIONE PARENTALE (P.A.S.) – Il concetto di PAS (cosiddetta “Sindrome da alienazione parentale”) è stato elaborato dal medico statunitense Richard Gardner, secondo il quale tale sindrome rappresenterebbe una dinamica psicologica disfunzionale che si attiva sui figli minori, in specie coinvolti in processi di separazioni e divorzi conflittuali. Tale sindrome si sostanzia nel fatto che uno dei genitori (l’alienante) avvia nei confronti dell’altro coniuge (l’alienato), un’autentica campagna di denigrazione finalizzata a far sentire come nociva e pericolosa la frequentazione del figlio da parte dell’altro genitore e della famiglia di quest’ultimo. Da ciò ne consegue che il figlio dimostra mostra una posizione totalmente adesiva a quella del genitore alienante, finendo per disprezzare ed evitare il genitore alienato.

E’ bene evidenziare che tale sindrome non è riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità quale malattia, ma nel diritto vivente viene sempre più evidenziata dalle Corti di merito: in molte sentenze, il riconoscimento di tale sindrome, attraverso anche il riscontro da parte di consulenti tecnici, poteva spesso comportare alla deroga alla regola dell’affido condiviso, determinando così l’affido esclusivo al genitore non alienante, per tutelare il diritto del minore.

Di fronte alla Corte di Cassazione, tuttavia, alla luce della mancanza di riconoscimenti scientifici, non veniva presa in considerazione. Di recente, invece, si è vista un’apertura in tal senso: la Suprema Corte, con senza n. 13274 del 2019, sanciva quanto segue: “Nel caso di diagnosi della sindrome di alienazione parentale (PAS), se dalle consulenze tecniche emergono risultanze discordanti non coincidenti con la (ancora in evoluzione) letteratura scientifica sul tema, il giudice dovrà valutare in concreto le risultanze mediche anche sulla base delle proprie competenze, traendo spunto anche dall’adempimento necessario dell’audizione del minore”.

Appare evidente che, in assenza di un riconoscimento da parte della Comunità scientifica di tale sindrome, la suprema Corte non possa esprimersi: tuttavia tale sentenza di fatto “riconosce” la sua esistenza; dall’altra parte, riconosce il principio di diritto secondo il quale il Giudice può agire come “perito dei periti”, valutando caso per caso, in concreto e tramite l’audizione del minore, quale potrebbe essere la soluzione più adatta alla tutela dei suoi diritti fondamentali ed inalienabili e dei suoi interessi.

Alla stessa soluzione giungeva il Tribunale di Civitavecchia nel 2019: secondo il Giudice “la locuzione ‘sindrome da alienazione genitoriale’ non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, bensì un insieme di comportamenti posti in essere da un genitore per emarginare e neutralizzare l’altro”.

Dunque, spetta sempre al Giudice valutare, sulla base delle risultanze di causa e dell’ascolto del minore, quale sia il regime di affidamento migliore nell’interesse del figlio minore, sino a disattendere i risultati di una consulenza tecnica, pervenuta a conclusioni diverse, nel presupposto dell’esistenza di un genitore alienante.

Fondamentale è poi che il Giudice possa invitare i genitori ad intraprendere un percorso di sostegno alla genitorialità, senza che ciò si traduca in una violazione della libertà personale degli stessi.

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