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LA “VIOLENZA ASSISTITA” IN CASO DI SEPARAZIONE DEI GENITORI – La violenza assistita è stata definita dal Cismai (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia) come: “l’esperienza, da parte del minore di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulti e minori”. Accade di sovente che i minori siano vittime di tale forma di violenza soprattutto in sede di separazione tra i genitori. Trattasi di una forma di violenza indiretta, non direttamente subita dal minore, ma da altri individui presenti in famiglia, al quale il minore stesso assiste.

Gli studi e le ricerche sulla violenza assistita iniziavano già negli anni settanta nei paesi anglosassoni: è stato dimostrato che essa produce nel minore effetti traumatici intensi, spesso pari a quelli subiti tramite violenze dirette: la definizione veniva messa a punto durante il Congresso Internazionale di Singapore sulla violenza in famiglia nel 1988.

Tale violenza è molto subdola e difficile da dimostrare, tanto che, agli inizi, gli effetti sui minori sono stati a lungo sottovalutati, soprattutto a livello psicologico e giuridico. Fortunatamente, anche la Giurisprudenza italiana ha recepito la gravità di tali condotte. Basti pensare che, se normalmente è ormai acclarato che l’affidamento condiviso dei figli minori debba rappresentare la regola, proprio per una maggior tutela dello sviluppo psicologico del minore ed a tutela dei suoi interessi, ad oggi, l’aver subito tale tipo di violenza, in sede di separazione dei genitori, rientra a pieno a pieno titolo tra i requisiti che consentono di derogare al principio dell’affido condiviso in favore dell’affido esclusivo, in quanto ritenuto maggiormente corrispondente ai bisogni del minore.

Secondo la Suprema Corte, infatti: “la regola dell’affidamento condiviso dei figli può essere derogata solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore, con la duplice conseguenza che l’eventuale pronuncia di affidamento esclusivo deve essere necessariamente sorretta da una motivazione non più solo in positivo, sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore

Ed è ovvio che la condotta del  genitore autore della violenza assistita, oramai ritenuta una vera e propria forma di maltrattamento ed abuso sul minore, va a ledere il diritto di quest’ultimo  a crescere in un ambiente sano e sereno: pertanto, l’autore di tale violenza, dovrà essere ritenuto inidoneo a crescere il figlio minore.

In aiuto sicuramente è arrivata la ratifica da parte dell’Italia della Convenzione di Istanbul, entrata in vigore il 1 agosto del 2014) che prevede, in special modo all’art. 31, che gli Stati aderenti dovranno garantire misure legislative o di altro tipo “necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione” della Convenzione medesima. Devono, pertanto, essere adottate tutte le misure opportune affinché siano garantiti i diritti e la sicurezza delle vittime di violenza e, soprattutto, dei bambini.

In caso famoso, risalente all’anno 2018, in ossequio a quanto disposto dalla Suprema Corte e dalla Convenzione di Istambul, veniva deciso dal Tribunale di Roma di evitare opportunamente le classiche situazioni di passaggio da un genitore all’altro, disponendo che l’esercizio del diritto di visita nei confronti della figlia, vittima di violenza assistita, avvenisse con modalità tali da evitare che l’autore della violenza (il padre) si presentasse personalmente per prendere con sé la bambina.

In tale caso, la prerogativa era proteggere la madre, rafforzandone l’autonomia, l’autodeterminazione e l’autostima, al fine di tutelare maggiormente la figlia minore, che aveva assistito alle violenze sulla madre. Sanciva, infatti, il Tribunale che: “Può essere disposto l’affidamento esclusivo della prole minorenne laddove la condotta violenta ed aggressiva di uno dei genitori – posta in essere in presenza del minore ai danni dell’altro genitore (o di un parente) e contravvenendo alle statuizioni che disciplinano il prelievo della prole – sia tale da far supporre un grave turbamento in capo al minore”.

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