Cronache dai Palazzi

La Cassazione ha detto sì al referendum che taglia 345 parlamentari. Si potrebbe votare già a fine di marzo e si andrà alle urne per confermare o annullare la riforma con cui si vorrebbero eliminare 230 deputati (da 630 a 400) e 115 senatori (da 315 a 200).

L’Ufficio centrale per il referendum della Corte di Cassazione “ha dichiarato che la richiesta di referendum sul testo di legge costituzionale recante ‘modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari’, sorretta dalla firma di 71 senatori, è conforme all’articolo 138 della Costituzione ed ha accertato la legittimità del quesito referendario dalla stessa proposto”. Via libera dunque al referendum confermativo, che non necessita del quorum, con cui si mira appunto a confermare la riduzione del numero dei parlamentari.

La convocazione del referendum spetta al Presidente della Repubblica con un suo decreto “su deliberazione del Consiglio dei ministri”, convocato appositamente entro 60 giorni a partire dal giorno in cui è stata depositata l’ordinanza della Cassazione che ha dato il via libera all’iniziativa. Entro due mesi, in pratica, Palazzo Chigi dovrà decidere la data delle urne, decisione che deve essere presa tra il 50esimo e il 70esimo giorno successivo allo svolgimento del Consiglio dei ministri. Ecco perché si potrebbe votare tra gli ultimi giorni di marzo e la prima domenica di giugno.  Qualora la squadra dell’esecutivo deciderà la data del referendum fin dalla prossima settimana si potrebbe votare a fine marzo.

La Fondazione Luigi Einaudi, promotrice della raccolta firme tra i parlamentari, auspica che il governo proponga la data del referendum “nel più breve tempo possibile” per “poter iniziare il vero confronto sui temi che il quesito referendario solleverà, che pone il modello di democrazia parlamentare di matrice liberale contrapposto all’idea di democrazia diretta di stampo populista a cui si sono ispirati i fautori di questa riforma”.

In verità, ha affermato l’ex capo politico dei Cinque Stelle, Luigi Di Maio, “qualcuno farà di tutto per andare a votare prima e incassare un numero di parlamentari maggiore rispetto a quelli che vogliono tagliare. È lo stesso motivo per cui è caduto il governo ad agosto”. Di Maio ha aggiunto: “Non è con il taglio dei parlamentari che si cambierà l’Italia ma bisogna dare un esempio”.

Su un altro fronte vi è il taglio del cuneo fiscale, le buste paga cresceranno per fasce di reddito. I più avvantaggiati dall’operazione sono circa 2 milioni e mezzo di italiani, lavoratori che guadagnano tra 26.600 e 35mila euro, esclusi tra l’altro dal bonus Renzi, che potranno avere tra 80 e 100 euro in più in busta paga ogni mese. Coloro che appartengono invece alla fascia di reddito tra 8mila e 39mila euro (circa 16 milioni di italiani) grazie al taglio del cuneo fiscale si ritroveranno in busta paga da un minimo di 16 euro ad un massimo di 100 euro in più al mese.

Chi prende già il bonus di 80 euro – circa 11,7 milioni di lavoratori con una fascia di reddito entro i 26.600 euro – potrà beneficiare di un vantaggio mensile di circa 20 euro. I nuovi beneficiari sono circa 4,3 milioni di lavoratori come rivelano i calcoli effettuati dai tecnici del ministero dell’Economia ai leader di Cgil, Cisl e Uil ricevuti a palazzo Chigi.

Nessun beneficio economico, invece, per coloro che superano i 40mila euro di reddito, mentre per i 950mila lavoratori dipendenti la cui fascia di reddito si trova tra i 35mila e i 40mila euro il vantaggio mensile sarà di 64 euro per coloro che dichiarano un reddito annuo di 36mila euro, per poi scendere progressivamente fino a 16 euro mensili in più per chi registra un reddito lordo di 39mila euro. Ogni forma di beneficio fiscale dedotta dal taglio del costo del lavoro scatterà dal prossimo mese di luglio e quindi nel 2020 varrà per soli 6 mesi.

Di ritorno da Gerusalemme, dove ha partecipato al Forum sulla Shoah, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricevuto al Quirinale il vicepresidente americano Mike Pence, arrivato anche lui da Gerusalemme. Nella giornata di venerdì 24 gennaio Pence ha incontrato anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e Papa Francesco in Vaticano.

Conte, a ridosso della Conferenza di Berlino di domenica 19 gennaio, ha ribadito a Mike Pence l’importanza del sostegno della comunità internazionale a cominciare dagli Stati Uniti. È necessario che Washington svolga uno specifico ruolo su Egitto e Emirati per convincere Haftar a rispettare la tregua revocando il blocco dei terminal petroliferi che rischiano di far capitolare la produzione del greggio da 1,2 milioni di barili al giorno a 72mila.

L’Italia conferma inoltre gli impegni all’interno della coalizione per la lotta a Daesh, come ribadito anche dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini in visita in Iraq, e Mike Pence ha illustrato la posizione americana alla luce della nuova proposta statunitense per un accordo di pace in Medio Oriente, che Donald Trump potrebbe illustrare a Benjamin Netanyahu la settimana prossima alla Casa Bianca.

I dazi e il negoziato europeo rappresentano un altro nodo problematico. A Davos, sede del World Economic Forum, la presidente della Commissione Ue, Ursula Gertrud von der Leyen è apparsa ottimista riferendo di “avere avuto una conversazione molto buona con Trump”, e di attendere “fiduciosa” la firma di “un accordo riguardante il commercio, la tecnologia e l’energia” nell’arco di poche settimane. Mattarella e Conte hanno ribadito al vicepresidente americano che l’Italia confida in un accordo europeo.

Sul piano bilaterale, tra governo italiano e Stati Uniti, occorrerebbe inoltre evitare un secondo set di dazi che rischiano di colpire in particolar modo i prodotti italiani destinati all’esportazione, come ad esempio il vino italiano.

Per quanto riguarda invece la tassa sulle multinazionali digitali, la cosiddetta web tax, l’Italia attende la decisione dell’Ocse alla quale il nostro Paese intende uniformarsi. “Puntiamo a una soluzione internazionale, altrimenti andremo avanti con la nostra tassa, che fa cassa dal 2021”, ha dichiarato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri spiegando che a differenza di altri Paesi europei, come la Francia, in Italia le misure scatteranno solo dopo 14 mesi e se nel frattempo l’Ocse pronuncerà il proprio verdetto il nostro Paese vi si adeguerà automaticamente. In definitiva, l’Italia mira ad un accordo globale per la web tax, però nel momento in cui tale accordo non ci sarà scatterà la tassazione italiana a partire da febbraio 2021.

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