La mano del Papa

Caro Francesco, hai tutta la mia solidarietà. Intanto, partiamo da un fatto semplice ma fondamentale: essere Papa di questi tempi. Una roba non facile mica come i tempi d’oro dove si comandava in ogni luogo e ogni lago perché la gente aveva ancora timore reverenziale di Dio e obbediva ciecamente. E chi non obbediva subiva conseguenze terribili e addirittura veniva punito in ogni modo. Con eserciti armati fino ai denti inviati a radere al suolo intere città o Bolle papali che impedivano la somministrazione dei sacramenti. Senza contare le tante persone bruciate sul rogo o affogate o mutilate o altre nefandezze.

Bei tempi davvero. E poi in tempi di grande splendore della Chiesa, quella per intenderci molto politica e meno spirituale, quella di un tanto al chilo ma di oro, ecco in quel periodo si oltrepassava spesso e volentieri la sottile linea di demarcazione del celibato legato ai voti. E che volete che sia.

Adesso invece sei sempre sotto i riflettori; hai un inquilino che prega e suona il piano tutto il giorno e tu che davvero cerchi di cambiare la Chiesa, di riportare i tuoi gaudenti cardinali alla vita monastica, di aiutare davvero chi soffre, ecco sarai un po’ sotto pressione. E allora, quella tapina che voleva a tutti i costi averti, toccarti, per poi raccontare una volta tornata nella sua capanna di aver toccato il Papa, ecco che ti ha fatto perdere le staffe. Sei stato anche gentile, io l’avrei pestata perbene e poi avrei scatenato i miei gorilla. Tu invece a freddo ti sei scusato. Non dovevi, caro Francesco. Ti capiamo.

Una volta tanto invece di porgere l’altra guancia hai picchiato tu per primo. Ego te absolvo. Buon anno.

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