Cronache dai Palazzi

Seguirà un percorso “graduale” ma la prossima sarà una manovra “seria, rigorosa e coraggiosa, accompagnata da riforme strutturali”, ha assicurato il premier Giuseppe Conte incontrando la stampa parlamentare prima della pausa estiva. Uno shock improvviso sul modello Irlanda non sarebbe sostenibile considerando il nostro debito pubblico – sulla carta la manovra costerebbe già circa 25 miliardi di euro, di cui la metà sarebbero destinati alla neutralizzazione di eventuali aumenti dell’Iva –  ma “per noi tutti l’obiettivo è realizzare il cambiamento che abbiamo assicurato agli italiani”, ha sottolineato il premier. Occorre però essere pragmatici: “Riforma fiscale e reddito di cittadinanza sono un tassello importante della manovra. Sarà un pacchetto integrale”, ha puntualizzato Conte, “ma bisogna essere realisti, non significa che a settembre realizzeremo tutte queste riforme”.

“In Europa andremo a testa alta, senza chiedere concessioni”, ha comunque ribadito il presidente del Consiglio. “Saremo seri, duri, ma né irragionevoli né scriteriati”. Le riforme rappresentano “la leva per la crescita” e “stiamo lavorando anche sulla semplificazione burocratica, per liberare un Paese imbrigliato da lacci e lacciuoli”, ha aggiunto il premier Conte. Metà della manovra 2019, 12 miliardi su 25, dovrebbe comunque essere finanziata in deficit, evitando tagli di spesa troppo drastici che potrebbero penalizzare eccessivamente il sistema economico. L’Unione europea potrebbe a sua volta non condividere il piano italiano, ma per ora il negoziato è ancora in corso e il giudizio di Bruxelles è rinviato all’autunno.

Il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, in un’intervista al Sole 24 Ore preannuncia revisioni di spesa citando anche il bonus renziano degli 80 euro. Tria afferma che non si può escludere un taglio deciso di deduzioni e detrazioni fiscali esistenti. Il bonus degli 80 euro, nello specifico, riporterebbe nelle casse dello Stato ben 9 miliardi che potrebbero essere dirottati sull’accorpamento degli scaglioni Irpef o la riduzione delle aliquote, oltre a rappresentare una solida base sulla quale impiantare la flat tax progressiva. Il ministro dell’Economia non nasconde, inoltre, una certa preoccupazione per lo spread che potrebbe tornare a salire provocando ulteriori danni, e sottraendo di fatto importanti risorse alla stessa manovra.

Salvini e Di Maio smentiscono a loro volta l’eliminazione del bonus degli 80 euro, definendola una ‘fake news’. Si tratterebbe comunque di “indiscrezioni false che servono solo per riempire le pagine dei quotidiani di agosto”, come ha affermato Matteo Salvini. “Bisogna vedere cosa ha scritto il giornalista e cosa ha detto il ministro”, ha affermato invece Di Maio riferendosi all’intervista di Tria al Sole 24 Ore. Di Maio ha dichiarato anche di voler “superare la regola del pareggio di bilancio in Costituzione” e di voler difendere il reddito di cittadinanza – “Per me è una priorità assoluta, come per la Lega è la flat tax”, ha sottolineato il leader pentastellato – per il quale si ripropone il medesimo scontro per reperire le risorse necessarie, come per la flat tax.

Per quanto riguarda la flat tax Luigi Di Maio ha affermato di aver “cambiato idea” dopo aver compreso il disegno leghista, in quanto “è un tipo di riforma del fisco che aiuta chi ha pagato le tasse a scapito di chi non le ha mai pagate”. Si tratterebbe di una flat tax con relative detrazioni che prevede però una “no tax area”, come la definisce il leader Cinque Stelle, e “questo per noi è rassicurante perché aiuta le fasce più deboli”, ha sottolineato Di Maio. Nel 2019 dovrebbero beneficiare della riduzione delle tasse le imprese più piccole, le partite Iva  e nel complesso i redditi più bassi. Il governo pentastellato prevederebbe una flat tax per moduli, ossia un processo di riduzione delle aliquote e degli scaglioni Irpef che nell’arco di cinque anni raggiunga il tetto del 15 o anche del 20 per cento per la tassazione dei redditi. Teoricamente una flat tax al 20 per cento favorirebbe coloro che superano i 30 mila euro lordi annui, e che nella situazione attuale versano di più come aliquota marginale. Risulterebbero penalizzati tutti gli altri tantoché sarebbe prevista una clausola specifica per evitare eventuali aumenti, non desiderati.

Per il reddito di cittadinanza, nello specifico, il governo dovrebbe attingere dal Rei, il Reddito di inclusione riservato alle famiglie che vivono sotto la soglia di povertà assoluta, nonché dal sussidio di disoccupazione (Naspi) che viene incassato per due anni da coloro che perdono il lavoro, oltreché dai vari contributi che fanno parte della voce welfare. La linea del ministro Tria, in effetti, è quella di utilizzare le risorse già esistenti e porre un freno alla spesa corrente dello Stato, come preannunciato in Parlamento dove Tria ha illustrato le sue linee programmatiche. L’obiettivo è, nella pratica, congelare la spesa corrente, cercando di non superare il livello dell’anno passato. In questo modo lo Stato potrebbe risparmiare circa 10 miliardi di euro. Un programma non facile da rispettare, che dovrebbe comunque interessare ogni singolo ministero segnando un ritorno alla spending review. Non dovrebbero però subire tagli settori portanti della società quali sanità, scuola e ricerca. Tutto ciò in aggiunta al taglio dal 19 al 15 per cento previsto per detrazioni e deduzioni. Le linee programmatiche del ministro dell’Economia prevedono inoltre di confermare iper e super ammortamento, e sconti fiscali per le imprese che acquistano beni strumentali, in quanto simili operazioni hanno generato dei risultati apprezzabili in termini di investimenti, un tema caro al ministro dell’Economia Tria, ma le operazioni andrebbero rifinanziate in quanto i fondi scadono alla fine dell’anno in corso.

Alquanto tumultuoso anche il tema delle pensioni per cui, in attesa del superamento della legge Fornero, arriva il provvedimento per tagliare le pensioni d’oro, oltre i 4 mila euro mensili, in virtù del quale si renderanno disponibili ben 500 milioni di euro da dirottare sulle pensioni basse.

Il ricalcolo per le pensioni prevede la cosiddetta quota 100, che sarebbe la somma tra età anagrafica e anni di contributi. Le persone con almeno 64 anni (contro i 67) potranno lasciare il mondo del lavoro in anticipo, raggiunti 36 anni di contributi. Il suddetto meccanismo assorbirebbe di fatto l’Ape sociale, ossia l’anticipo pensionistico che comporta dei costi per lo Stato, e in un certo qual modo anche l’Ape volontaria che non rappresenta un costo per le casse dello Stato ma l’assegno subirebbe comunque una riduzione. Più improbabile invece quota 41, ossia la possibilità di uscire dal mondo del lavoro con 41 anni di contributi versati a prescindere dall’età.

Altri nodi al pettine sono rappresentati dalla Tav Torino-Lione, per cui è iniziato lo scontro a distanza tra il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, nonché vicepresidente di Forza Italia, e il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli. Tajani ha invitato il ministro a visitare i cantieri, ribadendo che “bloccare la Tav sarebbe una scelta scellerata”. Toninelli, a sua volta, parla di “mangiatoia” e questo infuria il sottosegretario leghista Armando Siri che prontamente replica: “I soldi pubblici non si debbono sprecare, ma le grandi opere si possono fare e si debbono fare pretendendo che non ci siano sprechi. Fare la grande opera non significa alimentare una mangiatoia”. Anche l’ex ministro alle infrastrutture, Graziano Delrio, ha criticato il termine “mangiatoia” difendendo l’operato del suo precedente ministero e sottolineando che “si può essere d’accordo o meno sulla Tav ma se si sceglie di non farla non ci si nasconda dietro presunte ‘mangiatoie’”.

Per finire crea scompiglio l’operazione vaccini, in quanto la circolare del ministro della Salute, Giulia Grillo, che introduce l’autocertificazione non convince i presidi che reclamano più regole affidandosi, tra l’altro, alla legge Lorenzin che è ancora in vigore. Non sono convinti dell’autocertificazione nemmeno i pediatri per i quali “imporre le profilassi è necessario”, come ha affermato Alberto Villani, presidente della Società italiana pediatria (Sip). “Un atto politico contro di me” ha dichiarato il ministro Grillo di fronte alle telecamere di La7, ribadendo che l’autocertificazione era una pratica prevista anche nel 2017, anche se in deroga.

Le dichiarazioni sostitutive valide per nidi e asili non sono sufficienti invece per le altre scuole quali elementari, medie e biennio del liceo (fino a 16 anni), che dovranno rispettare l’introduzione dell’obbligo come previsto dalla legge Lorenzin del 2017. Sarà comunque sufficiente anche una dichiarazione che attesta di aver preso appuntamento con la Asl per la vaccinazione. Per i genitori inadempienti sono previste sanzioni fino a 500 euro e i genitori, anche di asilo e nido, che incorrono nel reato di falsa attestazione a pubblico ufficiale (il preside) potranno rischiare da 6 a 24 mesi di carcere.

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