Giustizia e media, un rapporto difficile

In un giudizio penale, il dibattimento è solo la punta dell’iceberg che inizia dalla notizia di reato e si sviluppa nel corso delle indagini e si consolida, nei casi più gravi, nell’udienza preliminare. Quando si giunge finalmente in udienza ciò avviene sulla base di centinaia e centinaia di pagine di interrogatori, informative, intercettazioni, perizie. È compito di magistrati e avvocati leggerle e comprenderle per potersi formare un’opinione che per i primi porta alla sentenza, e per i secondi è il fondamento di una strategia difensiva.

Oggi il loro lavoro è inutile. Magistrati e avvocati sono stati sostituiti dai programmi televisivi in cui tutti, opinionisti e criminologi di occasione, emanano le loro verità inappellabili, strillando ad alta voce la loro verità che, nella quasi totalità dei casi, è una sentenza di condanna o assoluzione esattamente come in un film. Dopo, una volta emessa la sentenza, viene data voce a familiari, amici e parenti delle parti in causa per urlare la loro approvazione o dissenso ad una sentenza.

Vengono dimenticate, e quasi mai lette, le centinaia, spesso migliaia di pagine che costituiscono il fascicolo del giudizio. Il difensore di uno degli imputati nella vicenda tangentopoli narra, e non si stenta a credergli, che per raccogliere tutti gli atti della causa dovette affittare un magazzino.

In ogni caso, prescindendo solo per un attimo dalla conoscenza degli atti da parte degli “esperti” che presenziano alle varie trasmissioni televisive, risalta l’assoluta mancanza dal dibattito del dato giuridico che è purtroppo spesso l’argomento centrale del giudizio. Troppo complicato per il pubblico dissertare sull’essenza del dolo e le sue sfumature: dolo eventuale e colpa cosciente, per essere comprese, necessitano un minimo di conoscenza giuridica. Meglio affidarsi alla pseudo giustizia urlata da talk show, con toni pietistici verso il dolore delle vittime e i familiari, magari intervistando un cugino di quarto grado della vittima (con un look da casa del Grande Fratello) o l’ex fidanzato della nipote dell’imputato. Contorno finale il popolo dei vicini, parenti e amici che, intorno all’inviato del programma, costituiscono la versione moderna del coro del teatro greco.

Non mancano le pagine Facebook di supporto per ciascuna delle parti. Infine giunge la verità processuale, condensata nel dispositivo della sentenza che contiene la condanna o l’assoluzione e, nel primo caso, la pena. Ma quella scarna pagina è l’ultima di un provvedimento formato da centinaia di pagine contenenti la ricostruzione del fatto e le ragioni giuridiche per cui un tribunale si è convinto su come applicare le norme.

Ultima di queste vicende ormai diventate solo processi mediatici davanti alla Corte di Assise di Roma. L’imputato, usando una pistola, colpisce al braccio il fidanzato ventenne della figlia ma, invece di portarlo in ospedale, probabilmente terrorizzato, attende, insieme ai suoi familiari, forse tutti convinti che la ferita fosse banale, e il giovane muore.

Omicidio volontario con dolo eventuale o omicidio colposo? E i familiari dell’autore del gesto, sono complici, come vorrebbe la prima ipotesi, o semplici estranei spettatori? È solo una questione di diritto, che riguarda l’elemento soggettivo del reato e andrebbe lasciata a chi nel diritto lavora. Ma TV e social questa volta non bastano per appoggiare una tesi giustizialista (in un programma si è sentito dire che la polizia avrebbe dovuto arrestare tutti i presenti e tenerli dentro fino a che uno non confessasse) o innocentista (il povero padre lavoratore che ha sbagliato), ma siamo giunti ancora al fenomeno delle marce per la giustizia e le fiaccolate. Questa volta abbiamo anche i manifesti nella città dove si sono svolti i fatti per aggiungere alla giustizia televisiva quella di piazza e, infine, apoteosi, gli insulti e le minacce agli avvocati.

La sentenza è appena uscita e i giornali hanno dato voce alle emozioni delle parti, senza che si conoscano ancora le motivazioni. La giustizia è stata, ancora una volta, mal portata a conoscenza o, meglio, strumentalizzata a uso di audience e non di informazione. Attendiamo le motivazioni confidando che, prima di un nuovo programma strillato, l’intera sentenza venga non solo letta ma anche compresa.

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