Politica e alleanze

Con il discorso alla Camera sulla Siria, Paolo Gentiloni ha fornito un’ulteriore prova di equilibrio e di saggezza, in contrasto con tante sguaiatezze cui siamo costretti ad assistere ogni giorno. Ha detto cose che, se qualcuno legge queste note, sa che venivo scrivendo da mesi, forse da anni: il regime di Assad è abominevole, ma impostare ogni soluzione del problema siriano sulla sua rimozione è un errore e un’illusione. Inoltre, l’uso delle armi chimiche non può essere accettato dalla comunità internazionale, ma la crisi siriana non si risolve con atti di forza (specie, aggiungo io, se fuori di una strategia credibile). La sola via di uscita, per quanto ardua, è il negoziato. La Russia ha un ruolo fondamentale da svolgere, non può essere ostilizzata, ma deve essere sfidata a dare un contributo effettivo alla pace.

Cose ovvie, ma che tendono a sperdersi nel fumo e nel clamore delle dichiarazioni, degli insulti, delle azioni unilaterali. E infatti le parole di Gentiloni sono state accolte nell’insieme con favore dalla forze politiche, compresa – sia pur con aspetti critici – la Lega. Naturalmente, non sarà un discorso del Capo del Governo italiano a cambiare le cose, in una situazione aggrovigliata e in parte compromessa. Ma dal punto di vista nazionale era importante che il Governo in carica esprimesse una posizione e il Parlamento la avallasse. Posizione non isolata: la Germania, e l’opposizione laburista in Gran Bretagna, per non parlare di una parte della stampa democratica negli Stati Uniti, la condividono.

Il punto più delicato, e più imbarazzante, riguardava però la questione delle alleanze. Il problema non si porrebbe se il leader di una forza importante – e che si vuole di governo – mostra  una pericolosa inclinazione a spostare l’asse della nostra politica dall’Occidente a Putin. Anche  su questo punto, Gentiloni mi è parso condivisibile. Ha riaffermato la fedeltà dell’Italia alle alleanze occidentali ed escluso ogni forma di neutralità. Saremo – ha detto – sempre vicini agli Stati Uniti (forse un sottile distinguo può trovarsi nel fatto che ha menzionato varie amministrazioni americane, da Kennedy a Obama, senza riferirsi a quella attuale). Ma ha lasciato chiaramente intendere che si può differire con gli alleati su singoli aspetti senza per questo essere traditori o infedeli.

Non è, del resto, la prima volta che la nostra politica estera sceglie un cammino relativamente autonomo, anche se difficile e spesso incompreso, specie per quanto riguarda i rapporti con la Russia. Lo fece per la guerra del Vietnam, ai tempi di Fanfani e di Moro, lo fece – in forma piuttosto irritante – con Andreotti nei confronti della Libia di Gheddafi. Ma già dai tempi, ormai lontanissimi, di Gronchi, abbiamo sempre tenuto nei confronti di Mosca un atteggiamento più possibilista. Berlusconi ha interpretato a modo suo questa tendenza, spingendo la sua amicizia personale con Putin al di là dell’amicizia formale. Tra l’altro, continua a vantarsi di aver fatto finire la Guerra Fredda con il famoso incontro NATO-Russia di Pratica di Mare. Vanterie! La Guerra Fredda era finita da un pezzo, il primo accordo NATO-Russia risale all’Atto di Parigi del 1997, quando a Palazzo Chigi c’era Prodi.

Però, una politica non pregiudizialmente ostile a Mosca non è sbagliata, anche per evidenti ragioni economico-commerciali (quelle che Salvini ci ricorda a gran voce, dimenticando peraltro che il grosso delle nostre esportazioni va in Europa). Renzi stesso, pur non ponendo veti al rinnovo delle sanzioni, rese a suo tempo chiara la posizione italiana in proposito. Né credo che Washington o Londra si siano per questo offuscati. La questione è di limiti. Bisogna saper svolgere un’azione rasserenante e, se serve ed è possibile, di discreta mediazione ma il riferimento al quadro occidentale deve restare sempre esplicito e indubitato. Altrimenti si va su un terreno scivoloso.

Nell’intervento alla Camera sulle dichiarazioni del Premier, il rappresentante della Lega si è espresso in modo nel complesso accettabile, riaffermando la fedeltà alla NATO, ma osservando peraltro che, nella crisi siriana, la NATO non è coinvolta (il che è solo formalmente vero). Ha così corretto le intemperanze salviniane, e non poteva non farlo. In un momento in cui il leader leghista cerca di afferrare il potere, e sa che per questo ha bisogno di un consenso molto più ampio di quello di cui dispone, un aperto distacco dalle linee tradizionali della nostra politica estera costituirebbe un ostacolo maggiore, sia rispetto agli alleati di FI che ai 5 Stelle, che in questa fase hanno assunto un atteggiamento molto più ortodosso.

Le prossime mosse permetteranno di chiarire meglio le possibilità di una linea di equilibrio. Ma l’equilibrio è – in questa occasione specialmente, come lo è in genere nella politica estera – un elemento necessario.

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