Cronache dai Palazzi

Candidati a sindaco, primarie, referendum istituzionale prossimo venturo, giustizia in corso: tutti motivi per delegittimarsi a vicenda. Al netto delle riforme e del dibattito parlamentare, che in queste settimane di campagna per le elezioni nelle grandi città metropolitane sembra tacere – o comunque non dà segnali importanti al di là di pochi decreti come quello sugli sprechi – la politica italiana è affollata da chiacchiere.

L’affaire Verdini ripropone inoltre l’ennesimo caso di giustizia politica. Sembra ripresentarsi la solita guerra tra classe  politica e magistratura e gli attacchi sembrano bersagliare il famigerato “partito della Nazione” renziano, tra i cui partner ci potrebbe essere proprio Verdini. “Si arricchisce il curriculum di uno dei nuovi ‘padri’ costituenti”, ironizza il pentastellato Luigi Di Maio riferendosi al leader di Ala, mentre Matteo Salvini puntualizza: “Verdini è il modo di fare politica che meno mi piace sulla faccia della Terra, la politica legata agli affari”.

Polemiche a parte, l’attività del governo prosegue tra Roma e Bruxelles. All’Europa in particolare, il premier Renzi chiede più flessibilità, meno rigore contabile e meno fiscal compact, il “vero danno per l’Europa e per l’Italia”. L’obiettivo dell’esecutivo è quello di ottenere dalla Commissione Ue uno “sconto” anche per il 2017, per poter cancellare il bollo auto, sforbiciare l’Ires (la tassa sui redditi d’impresa) dal 27,5% al 24% e riformare l’Irpef a favore dei redditi medi. A tutto ciò si aggiungerà poi molto probabilmente la riforma delle pensioni con la flessibilità in uscita, ma anche quest’ultima è un’operazione che richiede non pochi soldi. A proposito di “sconti” la Commissione europea sembra pronta a concedere uno 0,7% in più, pari a 11,2 miliardi, tantoché nel 2017 il rapporto deficit-Pil potrebbe salire dal previsto 1,1% all’1,8%. Renzi però non si accontenta e vorrebbe arrivare fino al 2,2%.

Riferendosi all’azione di soccorso della Banca centrale europea Matteo Renzi ha poi dichiarato che “il bazooka monetario non  è sufficiente”, bensì è necessario “rilanciare i consumi mettendo soldi nelle tasche degli italiani”. Per il presidente del Consiglio non si può inoltre sottovalutare l’ingente operazione di spending review da 25 miliardi in corso d’opera, che di certo complica la riduzione delle tasse, anche a causa dei margini ristretti concessi dall’Ue. Senza dimenticare l’operazione di infrastrutture e investimenti.

“Il taglio delle tasse non è una manovra elettorale”, ha puntualizzato Renzi nell’Aula di Montecitorio, e la richiesta di flessibilità “non è la pretesa di un gentile cadeau, di un regalo”. Bensì “la posizione dell’Italia non è tesa a rivendicare qualcosa per sé, ma cerca di spostare la direzione politica ed economica dell’Europa”. Più crescita, più investimenti, nuove regole per i cofinanziamenti nazionali dei progetti europei, la necessità di un cambio generazionale per “una classe dirigente diversa, quella dei figli e non dei padri”.

La presenza di Matteo Renzi al Consiglio europeo oltre al tema immigrazione ha sollevato, in sostanza, tutta una serie di imput di rottura per cambiare il funzionamento dell’Unione europea che così com’è posta non riesce ad attualizzare gli effetti delle riforme per restituirli ai cittadini. “Deliver, deliver, deliver” ossia ‘mettere in pratica’ o ‘consegnare al destinatario’, è questo il significato del verbo anglosassone che il premier italiano ha ripetuto per ben volte sottolineando la necessità di agire e portare a casa i risultati.

Per Mario Draghi, comunque, è chiaro che “sebbene la politica monetaria sia stata l’unica politica che ha guidato la ripresa negli ultimi anni, non può affrontare alcune debolezze strutturali di base”. In pratica “servono riforme per aumentare la domanda, investimenti e abbassare le tasse”. Il presidente della Bce ha inoltre ribadito la necessità di fare “chiarezza sul futuro dell’Unione monetaria”. L’Eurotower scongiura in sostanza uno scenario macroeconomico peggiore delle aspettative. “L’economia sta riprendendo – ha affermato Draghi -. Vediamo segnali di miglioramento in alcune parti dell’economia, per esempio nel mercato del lavoro e nei crediti. Ma i rischi restano al ribasso e alcuni di questi rischi si sono intensificati”. Per Draghi continuano ad essere essenziali gli interventi dei governi che restano per lo più divisi. Da una parte c’è chi, come la Germania e l’Olanda, difende i vincoli di bilancio e le misure di austerità. Dall’altra c’è chi, come la Francia e l’Italia, reclama più flessibilità per poter investire e ridurre le tasse.

Sui migranti poi gli Stati membri continuano ad andare per ordine sparso. Indigesto l’accordo per impegnare la Turchia a bloccare i migranti diretti verso l’Unione, assorbendo invece quelli arrivati illegalmente in Grecia. La Merkel ha definito le pratiche “negoziati complicati” e ha invitato i turchi a ritirare le proprie richieste: facile liberalizzazione dei visti per l’Europa, accelerazione dell’adesione all’Ue, aiuti da tre a sei miliardi. C’è accordo invece sui maggiori aiuti da concedere alla Grecia garantendo legalità e umanità nei rimpatri di profughi. In definitiva l’accompagnamento strutturale e politico non compete a Francoforte ma a Bruxelles e gli Stati membri devono impegnarsi sul fronte nazionale affinché si possano raccogliere i frutti degli sforzi e vedere realizzato un cambiamento.

Il cambiamento sottintende però anche una battaglia culturale da combattere, come quella proclamata dal ministro Giuliano Poletti nell’annunciare il Social Act: “Noi vogliamo far passare più treni: e vogliamo aiutare le persone a salire sul treno. Chi non ce la fa va aiutato ad avere condizioni dignitose di vita. Per questo ci daremo uno strumento universale”. Questo strumento universale sarebbe per l’appunto il Social Act, strutturato dal governo italiano per sconfiggere la povertà, che non è solo economica bensì anche educativa. Non si tratta di un reddito di cittadinanza ma di “un sostegno al reddito affiancato da una rete territoriale che comprende Regioni, Comuni, volontariato, e prende in carico le persone, una per una”. In pratica l’assistenza incrocia la riforma del terzo settore e l’obiettivo dell’esecutivo è costruire “un’infrastruttura unica per valorizzare l’immenso potenziale di 300 mila associazioni, un milione di occupati, sei milioni di volontari”.

©Futuro Europa®

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