Clima, accordo di transizione

“Questa COP21 è una svolta storica. Il 12 dicembre sarà una data storica per l’umanità, perché segna il primo accordo universale della storia dei negoziati sul Clima”: a dirlo, il ministro degli Esteri francese e presidente della Conferenza sul clima, Laurent Fabius, nel presentare all’Assemblea Generale dell’ONU, presenti Ban ki-Moon e Hollande, il testo dell’accordo raggiunto dopo 13 giorni di negoziati. Nella commozione di Fabius, anche durante la citazione delle ‘tante mani che si devono unire’ di Nelson Mandela, il vissuto collettivo di un evento che ha ‘coinvolto’ il mondo, già questo un fatto storico per un’Assemblea dell’ONU sul Clima. Una ‘svolta’ attesa come non mai, come non mai sollecitata dall’opinione pubblica di quasi tutti i Paesi del mondo, piena di aspettative ma timorosa dell’ennesimo mero elenco di belle parole. Una svolta dichiarata come obiettivo concreto da numerosi leader mondiali, Obama in testa, e chiesta anche da Papa Francesco che nell’enciclica Laudato si’, e ancora aprendo il Giubileo, ha indicato come inderogabile per la sopravvivenza dell’umanità la ‘necessità di cambiamento’ da parte dell’inquinante sistema economico mondiale.

Di sicuro, l’assemblea di Parigi sul Clima sarà ricordata come un evento storico per la larga partecipazione: 195 Paesi, che hanno rappresentato il 95 per cento delle emissioni inquinanti. E, soprattutto, per la prima partecipazione di USA e Cina ad una Conferenza dell’ONU sul Clima. Altro fatto ‘storico’ il raggiungimento di risultati ambiziosi, sia pure nei termini di un accordo di transizione: che è tale in primo luogo per via della  effettiva efficacia, da dimostrare, degli interventi; poi del metodo, solo ‘volontaristico’, quasi come un’autocertificazione, delle verifiche dei risultati raggiunti da parte dei singoli Paesi; poi ancora per via di alcuni punti irrisolti, come l’esclusione dal testo delle emissioni del traffico aereo e navale, stigmatizzata da parte del blog di Grillo, che però condanna la COP21 ‘in toto’. Se l’organo pentastellato critica poi il ruolo rilevantissimo negli accordi della finanza, va però detto che questa non agisce solo sul molto discusso ‘costo dell’inquinamento’, messo all’indice anche nella Laudato si’; va poi detto che molte delle cause indirette di inquinamento sono di origine finanziaria e solo attraverso la finanza possono essere ‘curate’; e, infine, che la leva finanziaria rappresenta bene o male il linguaggio comune sul quale, dalle grandi potenze ai più piccoli Paesi del terzo mondo strozzati dal debito oltreché dai mutamenti climatici, si è potuto tessere la trama dell’accordo.

Andando ai numeri, migliore delle aspettative risulta l’obiettivo di innalzamento massimo del riscaldamento globale, che l’accordo si propone di contenere ben al disotto dei 2 gradi e con l’obiettivo di 1,5 gradi: obiettivo ambizioso dal punto di vista politico, non da quello tecnologico. Inoltre, l’Accordo di Parigi stabilisce una prima valutazione dei ‘lavori in corso’ già nel 2018. Quanto ai finanziamenti, cento miliardi di dollari è la consistenza del fondo per aiutare i Paesi in via di sviluppo a contrastare il cambiamento climatico: fondo al quale l’Italia parteciperà con quattro miliardi di euro in cinque anni. Si tratta di uno sforzo importantissimo, ma molto discusso: perché già in partenza più di due terzi degli aiuti erano destinati a favorire l’innovazione tecnologica ‘green’, finendo quindi soprattutto a vantaggio dei giganti industriali asiatici e sudamericani, mentre molto meno di un terzo era previsto in sostegni puri e semplici per le economie meno inquinanti ma più colpite dai mutamenti climatici, come quelle prevalentemente agricole dell’Africa, tramite il cosiddetto meccanismo Loss&Damage.

Attraverso il Fondo e i finanziamenti connessi la COP21 ha dunque mirato a realizzare l’ormai improcrastinabile rivoluzione eco-tecnologica sfruttando la leva finanziaria, nella consapevolezza che gli obiettivi sono raggiungibili solo grazie ad una  ‘spinta economica’, un percorso redditizio per le imprese, la previsione di business, di opportunità per gli attori principali dell’economia mondiale. L’obiettivo è stato quello di una rivoluzione green: resa possibile oggi dall’ingresso nell’ecotecnologia dei giganti carbonici USA e Cina; ma il cui merito storico spetta all’Europa, che da Kyoto in poi ha svolto incessantemente il ruolo di motore trainante dello sforzo mondiale per la riduzione delle emissioni inquinanti attraverso la trasformazione ecosostenibile dell’economia. Un lavoro nel quale un ruolo di spicco ha avuto l’esempio dell’Italia, che pur con enormi problemi ambientali ha creato con la sua capacità di innovazione sostenibile le basi per un nuovo Rinascimento attraverso la Green Economy. In linea con l’eco-sviluppo, gli emendamenti all’Accordo proposti all’Assemblea dell’Unione interparlamentare interna alla COP21 dal Presidente della Commissione Ambiente della Camera Ermete Realacci, in accordo con la Presidente della Camera Laura Boldrini, e recepiti nel testo finale. Gli emendamenti sono volti a coinvolgere nella sfida per contrastare i mutamenti climatici le migliori risorse della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. E rappresentano il migliore contributo dell’Italia alla lotta ai cambiamenti climatici.

Cauto se non pessimista sui risultati effettivi dell’accordo il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza, per il quale gli strumenti previsti “ad una prima valutazione non consentono di contenere il riscaldamento del pianeta ben al di sotto della soglia critica dei 2 gradi, e ancor meno rispetto al limite di 1,5 gradi. E’ cruciale pertanto – secondo il presidente di Legambiente –  una revisione di questi impegni non oltre il 2020; e purtroppo l’accordo lo prevede solo su base volontaria, rimandando al 2023 la prima verifica globale degli impegni”.

“L’accordo sul clima di Parigi dopo ventitre anni di tentativi falliti è certamente un fatto storico che non salva il mondo ma crea le condizioni per salvarlo”, dichiara invece Angelo Bonelli, dei Verdi. Mentre per Realacci “l’accordo proposto a Parigi è sicuramente solo un primo passo, ma è importantissimo perché mette in moto il mondo per un obiettivo comune. Per dirla con uno storico slogan francese ‘Ce n’est qu’un debut’ e credo che i fatti supereranno quanto previsto”.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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