La Russia e noi

Quando rappresentavo l’Italia alla NATO, a metà degli anni Novanta, mi toccò di svolgere un ruolo di qualche utilità nei rapporti tra NATO e Russia. L’allora Presidente Eltsin aveva designato, per la prima volta nella storia, un suo rappresentante presso l’Alleanza Atlantica. Era il nuovo Ambasciatore a Bruxelles, uno dei migliori diplomatici russi, Vitaly Ciurkin, oggi Rappresentante Permanente presso le Nazioni Unite. Al suo arrivo a Bruxelles, cominciò le sue visite ai colleghi della NATO venendo a trovare me. Gli chiesi, per curiosità, il perché di questa scelta. Sorridendo, mi rispose “le ragioni sono due: l’Italia è, tra i grandi Paesi occidentali, il più ragionevole e con meno preconcetti; e l’Ambasciatore italiano a Mosca (era allora il mio fraterno amico Emanuele Scammacca) mi ha detto che lei è una persona aperta, con la quale si può parlare”. Divenimmo amici e questa amicizia portò buoni frutti.

Il tema scottante era allora l’allargamento della NATO ad Est, che a Mosca era visto molto male. Eltsin aveva scritto una lettera ai Capi di Governo dei cinque maggiori Paesi atlantici minacciando la rottura degli accordi di disarmo. Prodi e Dini, rispettivamente Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri, erano preoccupati e mi telefonavano quasi quotidianamente per sapere che stesse succedendo. Per me, le cose erano chiare e così le presentai a Ciurkin: la Russia non poteva vietare a paesi liberi come la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca (che erano allora i candidati in prima linea) di entrare nell’Alleanza. Opporvisi sarebbe stato sterile e dannoso. Sarebbe stato molto più conveniente per ambedue le parti discutere le condizioni in cui l’allargamento potesse avvenire con il minor danno possibile per gli interessi russi. Pensai allora di riunire in un pranzo informale nella mia residenza Ciurkin con gli Ambasciatori degli Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Germania per esplorare  insieme, in maniera ragionevole e tra amici che si rispettavano, possibili punti di incontro. Non sto a ripetere quello che ho già scritto in un libro, Servizio di Stato. Il fatto è che alla fine del pranzo avevamo individuato i quattro punti per un’intesa. Potei passarli al Segretario Generale della NATO, Solana, che quel pomeriggio partiva per Mosca ad incontrare il Ministro degli Esteri russo, Primakov, ed essi furono letteralmente ripresi nell’Accordo che poi si firmò tra NATO e Russia a Parigi nell’aprile del 1997 e permise un primo allargamento dell’Alleanza senza traumi. Uno di questi punti, che Mosca considerava prioritario, era la creazione di un Consiglio di Cooperazione bilaterale tra NATO e Russia, che fu subito costituito e funzionò, alle volte con difficoltà, ma nel complesso bene e permise tra l’altro di superare lo scoglio principale che si poneva allora nei rapporti con Mosca: il ruolo diretto della NATO nei Balcani. In quella circostanza, la Russia accettò persino di partecipare con un proprio contingente alla forza alleata che, sotto comando NATO, garantì per anni gli accordi di Dayton che avevano posto fine al conflitto in Bosnia.

Altri momenti difficili non mancarono, ogni volta che la NATO ammetteva nuovi paesi dell’ex Patto di Varsavia e, alla fine, persino i tre paesi baltici, ex-membri dell’URSS. Nel 2002, per iniziativa di Berlusconi, il rapporto bilaterale NATO-Russia fu rimesso a nuovo nella riunione di Pratica di Mare e per qualche anno ha funzionato. Poi è intervenuto il problema dell’Ucraina, nel quale Putin ha agito con innegabile prepotenza, spaventando i membri orientali della NATO e obbligando questa (e l’UE) a fare la voce grossa. Il peggio della crisi, con l’assorbimento irreversibile della Crimea, potrebbe però forse essere dietro le spalle. Io resto comunque convinto, da quei lontani giorni degli anni Novanta, che con la Russia bisogna mantenere aperti tutti i canali di dialogo possibili, senza cedimenti ma con mente aperta. Ora c’è l’ISIS, che minaccia allo stesso titolo sia l’Occidente che la Russia, problema gravissimo rappresentato dallo stato terroristico impiantatosi tra Siria e Irak che e dovrebbe spingerli a collaborare. Le difficoltà, le remore, le diffidenze reciproche che vi fanno ostacolo sono arcinote, ma alla fine tutto questo deve poter essere messo da parte di fronte a un pericolo grave e comune, che le stesse NU hanno definito all’unanimità una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali. Credo che sia a Washington che a Mosca ci se ne renda conto e che qualche forma di coordinamento sia in atto. Il fatto è che, a parte la Francia, che da sola può  fare relativamente poco, è oggi soprattutto la Russia, sia in prima persona che appoggiando i suoi alleati iraniani e siriani, a muoversi con efficacia e i risultati sono evidenti.

Perché può farlo meglio di altri? Per varie ragioni, di cui la prima è politica: il regime di Putin, di per sé autoritario, ha in questa vicenda l’appoggio massiccio di Parlamento e opinione pubblica e può prendere decisioni che in altri Paesi creano infiniti problemi. La seconda ragione è militare: la Russia dispone di un arsenale bellico, certo inferiore a quello americano, ma assai superiore a quello di qualsiasi altro paese della NATO, e una parte di questo dispositivo è schierato in zona, già che i russi dispongono di importanti basi aeree e navali sulla costa siriana e di sommergibili nucleari nel Mediterraneo in grado di lanciare missili di alta precisione ed efficacia.

È dunque da pensare che, nella guerra contro l’ISIS, Putin e i suoi alleati siano destinati a svolgere un ruolo, non solo centrale ma, probabilmente, decisivo. Può realizzarsi questo esigendo l’abbandono russo di Assad? Non credo, ma è un prezzo da pagare (da sempre penso e scrivo che Assad è tutto sommato un male minore). È questo un bene? Sì e no. Sì, se serve a distruggere il nemico comune. No, nella misura in cui la Russia estenderà la propria presenza nel MO e nel Mediterraneo in un modo che non può certo rassicurare la NATO e dovrebbe preoccupare anche noi. A meno che non ritenessimo che, passata la crisi ucraina e quella mediorientale, tra NATO e Russia si possa tornare a una stabile relazione di amicizia e di collaborazione.

C’è il modo di riequilibrare le cose? Sì, se Stati Uniti e NATO assumono un ruolo più deciso contro l’ISIS, non solo in Siria e Irak, ma anche in Libia. Mi ha molto colpito quello che ha detto il Ministro degli Esteri russo Lavrov: Mosca comprende le nostre preoccupazioni per la Libia ed è pronta a darci una mano. Rischia di prodursi una situazione nella quale i nostri alleati obiettivi nel contenere la minaccia che viene dalla quarta sponda non saranno i nostri alleati della NATO, ma la Russia? Con quali conseguenze sulla nostra politica estera?

Si dice che l’ultimo segreto di Fatima, di cui solo il Papa sarebbe a conoscenza, profetizzai una crisi grave per il Cristianesimo, ma che la salvezza verrà da Oriente. Ex Oriente (cioè ex Putin) lux? Non son pochi gli italiani che lo credono (Berlusconi e Salvini di sicuro, ma forse sotto sotto lo stesso Renzi). A caval donato non si guarda in bocca, ma dopo tanti decenni di fedeltà all’Alleanza Atlantica e all’Europa, la cosa mi parrebbe abbastanza paradossale.

©Futuro Europa®

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