Possibile una nuova Bretton Woods?

La conferenza di Bretton Woods si tenne dal 1 al 22 luglio 1944 nell’omonima località nei pressi di Carroll (New Hampshire USA), per stabilire le regole delle relazioni commerciali e finanziarie tra i principali paesi industrializzati del mondo. Le basi erano un’economia di mercato, più o meno centralizzata a seconda delle diverse sensibilità dei vari paesi, ma tenendo ferma la barra sulla tipologia capitalista e sulla proprietà dei mezzi produttivi. Fu indetta per riparare i danni provocati nell’intervallo tra le due guerre mondiali e culminati nel disastro della famosa crisi del ’29.

Allora vi furono molti punti in comune con certe derive odierne che dovrebbero perlomeno essere motivo di riflessione. Fermo restando che le modalità e le tempistiche della governance europea si prestano sicuramente a più di una fondata critica. Gli urlatori alla Salvini che invocano l’uscita dall’euro, dall’Europa, il ritorno alla moneta nazionale ed un abbattimento del debito nazionale  tramite una svalutazione continua e di ampie dimensioni favorendo quindi le esportazioni, dovrebbero rendersi edotti su quanto già successo. Queste politiche ebbero e avrebbero benefici effetti nell’immediato, ma disastri sicuri nel mid e long term. Fra gli effetti di allora si annoverano un commercio mondiale  che andò scemando ed un crollo degli investimenti stranieri, se davvero , come pare ad oggi, il simpatico duo Tsipras-Varoufakis conducesse al grexit, ipotizzare un solo euro di investimenti in un paese governato dalla dracma appare qualcosa affidato più ad una chimera che ad un’ipotesi reale. Escludendo ovviamente raiders affamati di fare buoni affari in un paese allo stremo.

Gli accordi posero fine al precedente sistema Gold Exchange Standard certificando la centralità del dollaro che veniva agganciato all’oro, contestualmente fu decisa la creazione del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo. Bretton Woods trovò la sua fine a seguito dell’esplosione della spesa militare statunitense a seguito della guerra del Vietnam nel 1971 con la conseguente cessazione della parità dollaro-oro e si arrivò quindi alla libera fluttuazione dei cambi.

A seguito della crisi economica sono sorte molte richieste di un nuovo accordo mondiale che ricostruisca il sistema internazionale del commercio e delle valute, il primo accenno fu del Presidente Sarkozy il 25 settembre 2008 (allora anche presidente in carica dell’Unione europea): “Bisogna ricostruire tutto il sistema finanziario e monetario mondiale dalla base così come si è fatto dopo la Seconda guerra mondiale a Bretton Woods“. Successivamente anche il premier inglese  Gordon Brown intervenne sull’argomento: “Sto facendo girare un documento oggi tra i colleghi europei su quello che io considero le maggiori riforme, qualcosa che potremmo chiamare una ‘nuova Bretton Woods, che è urgente per poter ripristinare la fiducia nel sistema mentre affrontiamo le aree che si sono trovate più esposte nelle ultime settimane“.

Fulcro del nuovo sistema di ordine mondiale, oltre il fatto che rispetto alla originaria, la Bretton Woods II, come è stata chiamata, dovrebbe vedere al tavolo anche i Brics, è una sorta di New Deal II di rooseveltiana memoria, una ripresa delle teorie keynesiane che nel ’44 vennero annacquate a favore di White, e quindi una serie di investimenti pubblici tali da rimettere in moto l’economia con una forte spesa pubblica che superi i limiti di bilancio europei del 3%. Una ripresa del TEN-T  (Trans-European Network Transports) moltiplicato per tre. Queste non dovrebbero essere semplicemente spese in più, ma accompagnate da una profonda ristrutturazione del sistema, eliminazione delle asimmetrie (tema già trattato in altri articoli) delle aree geografiche, rivedimento del sistema fiscale UE e delle differenze di tassazione tra gli stati membri.

In tal senso si espressero 340 economisti italiani, tra cui l’importante firma del Presidente Romano Prodi, che nel 2014 indirizzarono un appello al premier Renzi, si chiedeva fra l’altro anche una diversa politica monetaria della BCE in senso espansivo, quello che si è poi esplicitato con il Quantitative Easing del Presidente Draghi. Un importante appello che purtroppo non pare avere avuto seguito da parte italiana, con un semestre di presidenza passato nel grigiore e le attenzioni rivolte più a temi di “poltrone” come nel caso Mogherini, ed una attenzione interna rivolta più allo stillicidio delle continue guerre con le dissidenze interne al suo partito per finire nell’imbarazzante caso De Luca.

Per concludere è doveroso ricordare a chi auspica un’uscita dall’euro, che sia gli accordi di Bretton Woods che i proposti Bretton Woods II vedono come centrale, o perlomeno importante, la creazione di una moneta unica sovranazionale, e che nella vacanza dell’euro la moneta unica si chiamava, nei fatti, dollaro. E a chi invoca dazi doganali a protezione del buy italian, lo invitiamo a vedere i disastrosi effetti che ebbe l’intervento del Presidente Hoover nel 1930, a seguito della crisi del ’29, con l’emissione dello Smoot-Hawley Tariff Act, che è annoverato tra la cause principali della grande depressione.

©Futuro Europa®

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