Libia, verso il fallimento?

“La Libia è ormai uno stato fallito. Siamo molto vicini alle condizioni del Libano degli anni ’80 o della Somalia, siamo a un passo dalla guerra civile”. Così ha sentenziato qualche settimana fa dalle colonne dell’Associated Press Ezz Eddin Ukail, analista fra i più puntuali. E’ chiaro che a tre anni dall’uscita di scena di Gheddafi e del suo regime sono le finanze di Tripoli a far sollevare dubbi e poche certezze, diretta conseguenza della macro instabilità politica a cui l’occidente non riesce a far fronte.

Primo punto rilevante è la guerra attualmente in atto nel Paese con le due fazioni contrapposte: da un lato il governo legittimo e riconosciuto a livello internazionale, con sede a Tobruk e comandato da Abdallah al-Thani; dall’altro Omar al-Hasi, e le sue frange con sede a Tripoli. Mentre il primo annuncia un cessate il fuoco e il portavoce dello Stato maggiore dell’esercito, Ahmed Al Mesmari, precisa che non riguarda i gruppi “Fajr Libya” e “Ansar al-Sharia” considerati “fuorilegge”, di contro il “Congresso nazionale generale” libico (Gnc), l’assise parlamentare che appoggia il governo parallelo di Tripoli (che però non viene riconosciuto dalla comunità internazionale) avanza precondizioni a una sua partecipazione ai negoziati dell’Onu in corso a Ginevra.

Il Paese è di fatto spezzato in due tronconi non solo con le fazioni in conflitto, ma anche con le pretese dei cosiddetti falchi sulle cariche politiche che in questi mesi si stanno moltiplicando. Obiettivo, aggiudicarsi le risorse del Paese cu cui si catalizzano gli interessi geopolitici di molti intrerpreti. Un panorama di estrema instabilità a cui si aggiunge il report della Central Bank of Libya datato 10 dicembre 2014, in cui si osserva come nonostante il Paese sia un grosso produttore di petrolio, il mancato sfruttamento di altre grandi risorse naturali potrebbe contribuire al rischio crack. Non va dimenticato che i giacimenti più importanti si sono fermati e i porti di produzione e di esportazione sono stati chiusi da gruppi armati, dediti a varie alleanze.

In ogni caso, la dichiarazione della banca centrale libica, che mira soprattutto ad assolvere l’amministrazione, non ha fornito informazioni secondarie che spieghino analiticamente il trend e individuino possibili soluzioni. Non sarebbe quindi solo la corruzione (altissima) alla base della situazione finanziaria libica, ma ovviamente anche la difficoltà estrema con cui l’occidente si è approcciato al problema dello scenario post-Gheddafi. A ciò si aggiungano i macro elementi venuti a galla nell’ultimo mese, come la diminuzione della produzione di petrolio e il declino dei prezzi su scala mondiali.

Secondo il report della banca centrale, quando Gheddafi era ancora al potere ben 300 erano i miliardi di dollari che componevano uno speciale fondo di riserva in valuta estera. Nessuno al momento conosce se quella cifra esista ancora o se sia stata utilizzata o rubata dai protagnisti del caos successivo alla caduta del Colonnello.

Una piccola luce, però, si scorge in fondo al tunnel: è la possibile svolta nella crisi libica grazie alle fazioni riunite a Ginevra sotto l’egida delle Nazioni Unite e con gli intensi sforzi compiuti dalla diplomazia italiana. Le parti hanno raggiunto un’intesa su una sorta di road map per la formazione di un governo di unità nazionale, così come anticipato da Bernardino Leon, l’inviato speciale del segretario generale dell’Onu per la Libia e capo della missione delle Nazioni Unite. Sul tavolo, accanto alle beghe politiche, certamente anche il dossier default e quello degli idrocarburi.

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