Turchia, il controverso “sultano” Erdogan

“Si considera al di sopra delle leggi e non rispetta alcuna regola”, afferma il  principale oppositore del nuovo Presidente turco Recep Tayyip Erdogan, Kemal Kiliçdaroglu.

Il suoi fedeli lo venerano tanto quanto i suoi detrattori lo odiano. Erdogan, ufficialmente in carica da giovedì 28 Agosto, si è imposto in undici anni di “regno” come capo assoluto della Turchia, ma sempre più contestato. Come lo ha appena dimostrato questa nuova vittoria, il dirigente turco rimane di gran lunga, a 60 anni, l’uomo politico più popolare a carismatico del suo Paese dai tempi di Mustafa Kemal Ataturk, l’emblematico Padre della Repubblica laica. Per la maggioranza religiosa e conservatrice del Paese, è colui che ha permesso di beneficiare di un decennio di forte crescita economica e di una stabilità politica alla quale non era più abituata. Ma da un anno a questa parte, Erdogan è diventato il personaggio più criticato della Turchia.

Definito “dittatore” dalla gente scesa nelle strade durante gli scontri del Giugno 2013, viene considerato anche “ladro” da quando, lo scorso inverno, è stato coinvolto in uno scandalo di corruzione senza precedenti che ha fatto tremare il suo regime. Delle intercettazioni telefoniche non autorizzate lo hanno dipinto come “padrino” che estorceva tangenti ai grandi capi d’azienda o come autocrate padrone dei media. E la sua decisione di bloccare l’accesso ai social media come Twitter e YouTube  ha scatenato una valanga di proteste in Turchia così come nelle capitali estere. “Si considera al di sopra delle leggi e non rispetta alcuna regola”, ripete senza fine il suo principale oppositore, il socialdemocratico Kiliçdaroglu. Ma colui che rivali e partigiani presentano come nuovo “sultano” è un vero combattente. Certo della sua popolarità, ha risposto a tutti gli attacchi riprendendo la sua strategia preferita, quella dell’”uomo del popolo” vittima di un “complotto” delle élite.

Per settimane, ha galvanizzato la sua base sventolando lo spettro di un “complotto” ordito contro di lui dai suoi ex alleati della confraternita dell’Imam Fethullah Gulen. Con successo, visto che il suo Partito ha vinto a man bassa le elezioni amministrative dello scorso 30 Marzo (45% dei voti). E’ coltivando questa immagine di uomo forte, vicino alle preoccupazioni dei turchi della strada, che questo bambino proveniente dai quartieri poveri di Istanbul ha scalato i gradini del potere. Formato da una scuola religiosa, venditore ambulante,  ha un tempo accarezzato il sogno di diventare calciatore, prima di lanciarsi in politica per il campo islamista. Eletto sindaco di Istanbul nel 1994, trionfa nel 2002 quando il suo Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) vince le elezioni politiche. Diventa Primo Ministro un anno dopo, una volta amnistiata una condanna che gli era stata inflitta per aver recitato in pubblico una poesia religiosa. Per anni, il suo modello di Democrazia conservatrice, che ha visto allearsi capitalismo liberale e Islam moderato, permette il concatenarsi di un successo dopo l’altro , dopati dalla crescita “cinese” della sua economia e dalla sua volontà di entrare nell’Unione Europea. Rieletto nel 2007 e nel 2011, con quasi il 50% dei voti, comincia a sognare di rimanere al potere fino al 2023 per celebrare il centenario della Repubblica turca.

Ma questo scenario si complica nel Giugno del 2013. Per tre settimane, più di tre milioni e mezzo di turchi chiedono le sue dimissioni manifestando per le strade, rinfacciandogli il suo pugno di ferro e una politica sempre più apertamente “islamista”. Il Capo del Governo risponde con una severa repressione dei “saccheggiatori” e dei “terroristi” che lo contestano. Il suo credito democratico ne riceve un duro colpo. Da quando ha preso il potere, Erdogan ha progressivamente virato dal pragmatismo all’ideologia, dal lavoro di squadra alle decisioni personali, dalla Democrazia all’autoritarismo. Lo scorso Maggio, dopo la catastrofe della miniera di Soma (301 morti), ha fatto un grande passo falso minacciando fisicamente un manifestante. Durante la campagna presidenziale, Erdogan ha moltiplicato gli insulti, contro il “fascismo di Israele” o verso una giornalista “sfrontata” che aveva osato criticarlo. E come provocazione, ha dedicato la sua prima uscita da Presidente eletto ad una preghiera nella Moschea Eyup Sultan di Istanbul, come facevano un tempo i capi dell’Impero ottomano. Per gli osservatori, in questo clima polarizzato, il culto di Erdogan costituisce una minaccia per la Democrazia e la pace sociale in Turchia. Ormai a capo dello Stato, Recep Tayyip Erdogan vuole dirigere il Paese da Presidente “forte”, trasformando la Costituzione (la priorità è imporre un vero regime presidenziale), contro la volontà dell’opposizione che grida allo scandalo.

Nonostante il suo 52% di voti a favore, il nuovo Presidente si vede confrontato, insieme al suo Primo Ministro Ahmet Davutoglu, a numerose sfide, la cui vittoria non è per niente scontata. Oltre alla riforma della Costituzione, Erdogan auspica mantenere il controllo del suo Partito a capo del quale ha messo il fedelissimo Davutoglu. Il ritorno in seno all’AKP del presidente uscente Abdullah Gul rischia di complicargli le cose. Più moderato, Gul dispone di solidi appoggi che potrebbero tornargli utili qualora l’AKP di Devatoglu non superasse la soglia di 376 eletti al Parlamento alle elezioni del 2015. Inoltre Erdogan porterà avanti la sua lotta contro il suo ex alleato, il potente Fethullah Gulen. Vuole fare definitivamente “pace” con i Curdi del PKK, riprendendo i colloqui fermi da più di un anno. Il capo storico, oggi in prigione, Abdullah Ocalan sembra essere convinto che vada messo un punto finale ad una guerra che, dal 1984, ha causato la morte di più di 40mila persone. La soluzione della crisi irachena e siriana è un altro obbiettivo di Erdogan. Il suo sostegno, portato avanti con basso profilo, agli jihadisti dell’ISIS ha posto la Turchia in una situazione imbarazzante, ma pur di vedere cadere Bachar al Assad, sembra che sia pronto a tutto. Ultima sfida, ma non meno importante, rilanciare l’economia turca, oggi forse vero “tallone d’Achille” dell’uomo forte del Paese. Inflazione, rallentamento della crescita, tassi d’interesse troppo alti, fanno si che l’argomento più battuto in campagna elettorale risulti essere un boomerang.

Fin dove riuscirà ad arrivare Erdogan?

©Futuro Europa®

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