We want you

Ci si chiede in molti cosa spinga ragazzi e ragazze occidentali ad andare a combattere in paesi in guerra con gruppi radicali di inaudita ferocia come l’ISIS, tanto famoso ultimamente.

Anche in Italia ci sono stati fenomeni simili: è di qualche giorno la dichiarazione di un padre che ha perso il figlio ucciso in Siria dove si era recato a combattere. Leggendo le disperate parole del padre di Giuliano Delnevo diventato Ibrahim, si capisce che spesso i genitori sanno assai poco dei figli. E che poi vogliono, ed è giusto che sia così, difenderne la memoria a ogni costo.

Lo scopo dell’ISIS con le sue spettacolari e crudeli esibizioni è sicuramente quello di scioccare e ci riesce benissimo, ma forse anche di attirare soggetti suggestionabili. E così un’organizzazione che fino a qualche mese fa nessuno sapeva che esistesse, adesso è sulla bocca di tutti. E infatti, credo che sia fare il loro gioco divulgare i filmati delle efferate esecuzioni, magari solo per gridare allo sdegno. Questa gente la sa lunga.

Ogni epoca ha i suoi eroi sanguinari; alla fine dell’ottocento c’erano i briganti tagliagole, poi i mercenari della guerra di Spagna;  quando ero ragazza, si voleva partire per combattere al fianco di Che Guevara e dei barbudos, che ora con le loro crudeltà, sembrano quasi dei chierichetti a confronto a questi altri barbudos.

Questi terroristi agiscono come una magnifica macchina pubblicitaria contando anche sulle fobie degli altri. La guerra ad oltranza fatta contro Al Qaeda, specie dagli americani, è stata in parte la causa della sua crescita; e questa lotta è sembrata a persone scontente, magari di una fascia sociale molto debole, soggetti che vivacchiano alle spalle della comunità, senza arte né parte, quasi una causa a cui votarsi. L’oppresso che si ribella. Ora l’ISIS sta offuscando Al Qaeda; perché questi altri gentiluomini sono ancora più estremi nella lettura e nell’applicazione delle leggi coraniche.

Insomma, la classica brace dopo la padella. Certo è che questo fenomeno è dilagante e molto poco controllabile. Come può un genitore qualunque fermare un figlio appena maggiorenne che gli si presenta in casa vestito di bianco, con la barba lunga e lo sguardo febbricitante e gli dice: vado a combattere per difendere l’aggressione di donne e bambini. Che mezzi ha se non la supplica, il pianto, la forza dell’amore? Non bastano proprio questi parametri. Perché questi giovani sono spinti dalle loro emozioni che questa gente sa ben sollecitare; vengono chiamati all’azione e questo fa di loro degli eroi, specie agli occhi dei loro amici; questa gente promette loro la gloria, al di là degli insegnamenti religiosi e del credo.

E allora cosa resta a un padre se non dire “sono orgoglioso di lui”. Ma l’orgoglio giace su una pietra fredda; ecco, forse noi occidentali dovremmo far capire a questi ragazzi a rischio che la morte dovrebbe essere la conclusione di una vita, bella o brutta, interessante o indifferente, ma una vita. Non si dovrebbe morire a vent’anni. Mai, per nessuna ragione. Perché in questa partita non ci sono vincitori ma solo vinti. Inshallah.

©Futuro Europa®

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