Acqua, risorsa di tutti

“L’acqua è un bene di tutti, e come tale va difesa” ha detto Papa Francesco nell’introdurre la Giornata Mondiale dell’Acqua, istituita dall’ONU nel 1993 e da poco celebrata in tutto il mondo. Già: l’acqua è una risorsa vitale, quindi non può essere un bene economico. E invece, oltre alla crescita esponenziale dell’inquinamento, dell’allevamento intensivo, dell’industria e della siccità, a ridurre la libera disponibilità dell’acqua nel mondo è la privatizzazione: non c’è continente dove le imprese non abbiano resa ‘economica’ la risorsa acqua, ‘subappaltandone’ dai governi la gestione a spese dei cittadini.

La gestione della risorsa acqua è un tema etico, non economico. Addirittura, a proposito della risorsa acqua si dovrebbe parlare di ‘diritto’ piuttosto che di ‘bene’, spiega Margherita Ciervo in ‘Geopolitica dell’acqua’. E invece, sull’acqua sembra esserci un ‘piano commerciale’ globale, semplice e chiaro: approfittare della scarsità della risorsa potabile, e di quella utilizzabile in agricoltura, per aumentarne il prezzo. L’ONU lo ha capito benissimo, e per questo ha dedicato la Giornata Mondiale dell’Acqua 2017 al trattamento delle acque reflue; le quali “una volta trattate, potrebbero dimostrarsi di enorme valore, in grado di soddisfare la crescente domanda di acqua dolce e di altre materie prime”, ha detto in questa occasione Papa Francesco, che alle risorse naturali, all’acqua, ed alla necessità di una economia etica, ha dedicato l’enciclica Laudato si’.

Soprattutto nei Paesi poveri, che mancano di acqua per le crescenti siccità, e che in media trattano solo l’otto per cento dei reflui domestici e industriali, rispetto al settanta per cento dei paesi ad alto reddito. L’Unicef fa sapere che trentasei nazioni soffrono la siccità, e che seicento milioni di bambini nel mondo, uno su quattro, entro il 2040 vivranno in aree con acqua scarsa. Croce Rossa e Caritas ricordano la siccità che sta provocando una gravissima carestia in Somalia, Sud Sudan e Nord-est Nigeria. Siccità dovuta anche ai cambiamenti climatici provocati dall’uomo. Che sfrutta in eccesso l’acqua anche in modo apparentemente ‘innocente’: come per l’allevamento da carne, in crescita esponenziale anche per soddisfare i bisogni di nuovi immensi mercati, come quello cinese. E per garantire la dieta postbellica dei Paesi ricchi: come evidenziato in ‘Popolazione, risorse e ambiente’ di Paul e Anne Elrich, per produrre mezzo chilo di carne sono necessari fino a tremila litri di acqua, mentre per produrre mezzo chilo di frumento ne bastano trenta litri.

Dove l’acqua è più disponibile, come in Italia, permane la cronica dispersione della rete: come evidenziato in un convegno alla Camera in occasione della Giornata, la dispersione degli acquedotti nazionali è pari ad un incredibile trentotto per cento in media, che nel Mezzogiorno arriva al cinquanta per cento. Anche qui, croniche carenze nella depurazione, soprattutto al sud, con sessanta milioni di multe comminate all’Italia dall’Unione Europea. In occasione del convegno, il premier Paolo Gentiloni ha annunciato la nomina di un commissario governativo per la depurazione e per le acque reflue. Il ministro della Coesione, Claudio De Vincenti, ha parlato di quattro miliardi e mezzo stanziati per rete idrica e depurazione. Per il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, il governo ha riformato la governance dei distretti di bacino e ha ora settecento milioni per i depuratori. Il ministro delle Infrastrutture, Graziano Delrio, ha annunciato un piano da trecento milioni per la manutenzione delle dighe, per recuperare 4 miliardi di metri cubi di acqua potabile. Ma Giovanni Valotti di Utilitalia, la federazione delle imprese del settore, ha messo in luce come ai ritmi attuali occorrerebbero duecentocinquant’anni per rinnovare gli acquedotti italiani. In Italia si investono meno di quaranta euro all’anno per abitante per la rete idrica, contro una media europea di centoventi euro, di qui le multe. Insomma, sulla gestione della risorsa acqua l’Italia non dà il buon esempio.

Il buon esempio su una gestione etica delle risorse naturali viene invece da alcuni paesi in via di sviluppo: paesi dalla industrializzazione vorticosa e in via di organizzazione in materia di inquinamento, reflui e rifiuti, ma dotate di una robusta tradizione culturale e religiosa rispettosa dell’ambiente. L’Alta Corte dello stato indiano dell’Uttarakhand ha decretato che i fiumi Gange e Yamuna sono ‘persone viventi’ e che i più alti funzionari dello Stato hanno nei loro confronti la responsabilità di ‘genitori’. Dall’Indo, partiti qualche millennio fa, vengono anche i nostri geni e la nostra civiltà: portatrice di una saggezza ancor più antica, che l’incalzare della crisi ambientale ‘consiglia’ di riscoprire.

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[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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