
Cronache dai Palazzi
Il 3,5 per cento destinato alle spese militari classiche, da rivedere al limite tra quattro anni nel 2029, e l’1,5 per cento alla sicurezza in senso più ampio. L’idea di fondo è ribilanciare il 5% (100 miliardi di euro l’anno) previsto dalla Nato come un limite massimo per quanto riguarda gli investimenti per la difesa, limite proposto dagli Usa ma non facilmente raggiungibile da diversi Stati europei. Tra l’altro, nemmeno il 2% del Pil per le spese militari attualmente in vigore è alla portata di tutti. Le decisioni prettamente operative saranno prese al vertice Nato dell’Aia il 24 e il 25 giugno. La Nato dal 2024 guidata dall’ex primo ministro olandese Mark Rutte, raccoglie 32 Paesi con l’obiettivo difendere militarmente Europa, Usa e Canada.
In settimana il segretario Rutte è arrivato a Palazzo Chigi, dalla premier Giorgia Meloni, per discutere in particolare di spese per la difesa. Un’ora di colloquio in cui la premier ha proposto gradualità a proposito di armamenti, mentre le opposizioni lamentano la “corsa al riarmo”. Conte parla di “Stato militare” e il Pd protesta contro “un governo diviso” soprattutto a proposito di una difesa europea comune. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani sottolinea che “il dibattito è ancora tutto aperto”, mentre per il ministro della Difesa, Guido Crosetto, “l’Italia non ha concordato, formalmente o informalmente, l’aumento delle spese militari al 5% del Pil”. Crosetto sottolinea che “se ne discuterà nel summit Nato dell’Aia” e che “quella del 5% è una proposta americana”, mentre “il segretario generale ha parlato di un 3,5% più un 1,5% per la sicurezza, all’Aia si deciderà quale sia la soglia finale da raggiungere”. Inoltre “anche dopo il summit nessun Paese sarà obbligato a raggiungere il 3% o il 3,5% o il 4% già dal prossimo anno; dipenderà da scelte politiche che possono variare, dai governi che si succederanno”. Il ministro della Difesa assicura che “non ci saranno in alcun caso ripercussioni sulla sanità, sull’istruzione, sulle pensioni”.
Per l’Italia rappresenta uno sforzo anche lo stesso 2 per cento obbligatorio e Palazzo Chigi, di concerto con la Gran Bretagna, auspica di procedere “con gradualità ed elasticità”, spostando per l’appunto al 2035 il raggiungimento degli obiettivi di spesa (militare). Roma chiede nello specifico flessibilità per quanto riguarda la percentuale di incremento della spesa annua, che non dovrebbe essere necessariamente una percentuale fissa. “Sì a più spese ma in almeno 10 anni”, afferma il ministro degli Esteri Antonio Tajani, non trascurando “le spese correlate” alla difesa che devono rappresentare almeno l’1,5% del totale stabilito. In definitiva occorre mettere a punto i criteri sui quali si sta già lavorando, “spese per la multidimensionalità, la sicurezza informatica, la difesa dei confini nazionali, la mobilità, la preparazione civile, la resilienza, gli aiuti alla Ue e anche le opere infrastrutturali”. In questo contesto anche il Ponte sullo Stretto potrebbe essere considerata un’opera strategica, dato che “la Sicilia è in mezzo al Mediterraneo e ospita importanti basi della Nato”.
Aspettando il prossimo summit dell’Alleanza Atlantica, a ridosso dell’incontro con il segretario Rutte in una nota Palazzo Chigi parla di “uno scambio approfondito in preparazione del prossimo vertice Nato, con particolare riferimento alle spese per la sicurezza collettiva e alla costruzione di un’industria per la difesa sempre più innovativa e competitiva, in complementarietà con l’Ue”. Non è inoltre mancato il confronto per quanto riguarda il “sostegno” all’Ucraina e a proposito dell’“importanza di un approccio a 360 gradi alla sicurezza euroatlantica”. Il segretario Rutte ha a sua volta ribadito il potenziale del nostro Paese e l’intenzione di fare visita a un’impresa di difesa a Roma: “L’Italia è un alleato importante, è attiva in tutto il territorio Nato e ha una base industriale di difesa di cui siamo molto orgogliosi, Leonardo, ma anche tante altre grandi e piccole aziende industriali della difesa, e abbiamo bisogno di tutte, comprese quelle in Francia, Germania e in tutta la Nato, anche negli Stati Uniti, per produrre ancora di più”.
Citando alcuni dati, secondo quanto registrato dall’Istat, nel 2023 il nostro Paese ha speso per la difesa 25,6 miliardi di euro, pari all’1,2% del Pil, appena sotto la media Ue (1,3%). Nel 2024 è stato invece raggiunto l’1,5% del Pil mentre Francia e Germania hanno superato, anche se di poco, il 2%. Contrariamente alle registrazioni statistiche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha però affermato che anche in Italia, “secondo il manuale Nato, siamo leggermente sopra il 2%”.
L’Italia dovrà incrementare la spesa per la difesa non solo perché l’Unione europea ha approvato il piano Rearm Europe, del resto non vincolante, bensì in quanto richiesto dall’Alleanza Atlantica, l’ormai noto 5% diviso in due parti – 3,5% in armamenti e 1,5% in infrastrutture – da definire nel corso del summit del 24 e 25 giugno quando gli Alleati dovranno definire con certezza il termine entro il quale raggiungere tale 5%. L’Italia propone in dieci anni, e quindi entro il 2035, ma un ampio fronte di Paesi non vorrebbe superare i 7 anni.
Nello specifico se l’Italia dovrà raggiungere il 5% nell’arco di dieci anni occorrerà investire circa 0,3 punti percentuali in più ogni anno, in pratica 3 punti in dieci anni per un totale cumulato di 100 miliardi.
Le spese militari, secondo i criteri Nato, non riguarderebbero solo le spese dirette come quelle per gli armamenti, ma anche gli investimenti per realizzare infrastrutture materiali e immateriali a supporto della difesa, dalla cybersicurezza alla difesa aerospaziale, porti e aeroporti a uso militare o misto, e anche il Ponte sullo Stretto potrebbe essere annoverato tra le spese per la difesa in quanto opera strategica.
Come finanziare l’aumento della spesa è l’ostacolo da superare. Nell’ambito del piano RearmEurope, la Commissione europea ha previsto una clausola di salvaguardia per cui gli Stati membri, in deroga alle regole del patto di Stabilità, possono aumentare la spesa per la difesa fino ad un massimo di 1,5 punti percentuali di Pil all’anno, che per il nostro Paese sarebbero circa 33 miliardi. In ogni modo per Via XX Settembre utilizzare la clausola potrebbe ritardare l’uscita dell’Italia dalla procedura per deficit eccessivo. Il ministero della Difesa auspica invece l’utilizzo del Safe, lo strumento finanziario previsto all’interno del RearmEurope che consente agli Stati membri prestiti fino a 150 miliardi garantiti dal bilancio Ue. Incrementare la spesa per la difesa fino al 3% del Pil nei prossimi anni comprometterebbe comunque il percorso di discesa del debito anche secondo le simulazioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio a proposito di un eventuale uso della clausola di salvaguardia.
Occorre comunque prendere atto di una necessità oggettiva per quanto concerne la difesa, sia in ambito nazionale sia per la messa in campo di una difesa comune europea, anche alla luce della moltiplicazione dei conflitti. Oltre all’Ucraina, ai confini dell’Europa, il fronte mediorientale appare alquanto problematico e in espansione sul piano bellico. Come auspicato dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella, a proposito di Europa e di Unione europea “bisogna trovare meccanismi decisionali più rapidi ed efficaci perché altrimenti l’Europa rischia di essere spettatrice di soluzioni che verranno inevitabilmente decise da altri soggetti”. Nello specifico è necessaria una “riflessione veloce” e procedere con decisioni “rapide ed efficaci”. Dalla strage di bambini e civili palestinesi alla guerra in Ucraina, il monito è rivolto all’Europa ma anche alla comunità internazionale affinché cambi passo accelerando il percorso verso la soluzione “due popoli due Stati”, coinvolgendo nel processo di pace in Medio Oriente i Paesi arabi più influenti. Per quanto riguarda Kiev, nello specifico, non si tratta di sminuire il ruolo della Russia, bensì “la ricerca ostinata di una soluzione deve portare una pace vera, stabile, fondata sul diritto e la giustizia. Altrimenti non durerebbe”.
Infine, a proposito degli ultimi accadimenti in Medio Oriente “Il governo italiano è in prima linea per favorire la de-escalation”, ha assicurato il ministro degli Esteri Antonio Tajani di fronte alle Commissioni riunite Esteri di Camera e Senato nella mattinata di sabato 14 giugno. “Ora più che mai è fondamentale non recidere il filo del dialogo. Il governo sostiene pienamente i negoziati tra Stati Uniti e Iran per un accordo sul programma nucleare iraniano, come testimoniato dalle due tornate negoziali che abbiamo ospitato a Roma. L’obiettivo prioritario continua ad essere una soluzione diplomatica della crisi. Ci auguriamo che domani possa svolgersi a Muscat la sesta riunione Iran Usa e invitiamo Teheran a seguire la via della diplomazia”, ha affermato Tajani.
In audizione in Parlamento, il ministro degli Esteri ha inoltre sottolineato: “L’Italia ha storicamente svolto un ruolo di ponte di dialogo tra le parti, convinti che nei momenti di massima tensione esistano margini per una soluzione politica. Siamo orgogliosi di non avere agende nascoste, ma perseguiamo con forza il nostro interesse prioritario di garantire la stabilità nel Mediterraneo e nel Medio Oriente”.
La “escalation” tra Israele e Iran “mette nuovamente a rischio la libertà di navigazione, in una rotta marittima cruciale per l’Italia e per il commercio globale”. Di conseguenza le implicazioni di uno scontro militare prolungato potrebbero rivelarsi rilevanti. Si avvertirebbero “ripercussioni” ad ampio raggio “non solo sul piano della sicurezza regionale, ma anche su quello economico, energetico, umanitario e migratorio”. In questo contesto il ministro degli Esteri assicura che “il governo italiano è in prima linea per favorire la de-escalation”. Si tratta di un quadro internazionale di estrema complessità per cui occorre buon senso e diplomazia nell’affrontarlo, anche attraverso il coinvolgimento del Parlamento chiamato ad interagire cercando di far prevalere il dialogo e il confronto sano anziché sterili lotte intestine, mentre altrove imperversa lo scempio della guerra che uccide.
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