Forum Coldiretti: né food né commodity, il cibo è vita

Cernobbio – Non solo commodity per sfamare le masse umane del pianeta a suon di hamburger e ciotole di riso, non solo food per il business delle multinazionali dell’agroalimentare: il cibo è in primo luogo vita, e la sua qualità è la garanzia del diritto alla salute per tutti. E’ questo il messaggio del Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione organizzato a Cernobbio da Coldiretti in collaborazione con lo Studio Ambrosetti. La Confederazione ha scelto un prodotto tipicamente italiano, popolare, che ha sfamato per pochi spiccioli le masse affamate del dopoguerra e molto conosciuto nel mondo, come esempio di salubrità alimentare ma anche delle sue possibili adulterazioni e quindi come simbolo della mission della certificazione di ‘qualità’ nel mondo. Già nel 2010 la pizza napoletana è stata riconosciuta ufficialmente come ‘Specialità tradizionale garantita dall’Unione Europea’. Da poco è anche ‘candidata’ come Patrimonio Immateriale dell’Umanità all’Unesco: a tutela della qualità di questo alimento la Coldiretti, insieme alla Fondazione UniVerde e all’Associazione Pizzaiuoli Napoletani, ha firmato infatti la petizione lanciata sulla piattaforma Change.org per un riconoscimento internazionale della Pizza Napoletana di fronte ai crescenti attacchi dell’agropirateria alimentare internazionale e all’appropriazione indebita dell’identità, rischio al quale il prodotto è esposto soprattutto all’estero.

Problemi all’estero, è vero; ma in realtà la pizza, ha spiegato Coldiretti a Cernobbio, non è immune da attacchi alla sua qualità anche in Italia, dove quasi due pizze su tre sono ottenute da un mix di farina, pomodoro, mozzarelle e olio provenienti da migliaia di chilometri di distanza senza alcuna indicazione per i consumatori. Spesso quello che viene servito è un prodotto preparato con mozzarelle ottenute non dal latte, ma da semilavorati industriali, le cosiddette ‘cagliate’, provenienti dall’est Europa, pomodoro cinese o americano invece di quello nostrano, olio di oliva tunisino e spagnolo o addirittura olio di semi al posto dell’extravergine italiano e farina francese, tedesca o ucraina che sostituisce quella ottenuta dal grano nazionale. Ora il punto è che, come il caso della pizza insegna, la mancanza di una certificazione rigorosa su origine e trasformazione di materie prime e prodotti finiti è ciò che consente questo via vai internazionale di materie prime tra tir e container anziché il passaggio dei prodotti dai campi alle cucine o ai laboratori manifatturieri. La mancanza o la carenza di certificazione di qualità è la leva per stroncare i prezzi all’origine delle materie prime locali: uno strumento di mercato che però consente anche a soggetti come le ‘agromafie’ di conseguire i margini di guadagno sugli acquisti che sono necessari per abbattere i costi di vendita rispetto ai prodotti di qualità. A rimetterci non sono solo gli agricoltori, che vedono scendere i prezzi dei propri prodotti, ma anche i consumatori, perché quello che arriva sui banchi spesso non si sa cosa sia.

Il meccanismo perverso prospera proprio in tempi di crisi come questo: secondo un’analisi della Coldiretti su dati Istat all’anteprima del rapporto Coldiretti/Censis sul tema “Gli effetti della crisi: spendo meno, mangio meglio”, illustrata a Cernobbio dal Presidente del Censis Giuseppe De Rita e dal Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo, gli italiani che non riescono neanche a portare in tavola i cibi necessari per garantirsi una buona salute sono più che raddoppiati (+130 per cento) rispetto all’inizio della crisi nel 2008 ed oggi si contano circa 11 milioni di persone che non possono permettersi un pasto proteico adeguato almeno ogni due giorni. Sono  4.068.250 i poveri che nel 2013 in Italia sono stati addirittura costretti a chiedere aiuto per il cibo da mangiare, secondo elaborazioni Coldiretti sul “Piano di distribuzione degli alimenti agli indigenti 2013″,  realizzato dall’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura (Agea). Tra questi – sottolinea la Coldiretti – si contano ben 428.587 bambini con meno di 5 anni di età e 578.583 con più di 65 anni che sono dovuti ricorrere ad aiuti alimentari. Si tratta di una fascia ‘estrema’, con la quale confina però strettamente una fascia ancora più ampia di consumatori costretti a fare di tutto per risparmiare a tavola: incrementando quindi la vendita dei prodotti di qualità non garantita. Che quindi prosperano: per questo il 65 per cento degli italiani ritiene che la crisi abbia fatto aumentare i rischi alimentari. Sotto accusa per un italiano su cinque sono i cibi low cost, dietro i quali spesso si nascondono, ricette modificate, l’uso di ingredienti di minore qualità o metodi di produzione alternativi ma – ha denunciato Coldiretti – possono a volte mascherare anche vere e proprie illegalità, come è confermato dall’escalation dei sequestri. A preoccupare il 21 per cento degli Italiani è invece l’apertura delle frontiere con l’arrivo di alimenti che vengono da Paesi lontani con diverse condizioni sanitarie e produttive, ma che – sostiene la Coldiretti – non possono essere ben identificati sugli scaffali per la mancanza di un sistema trasparente di etichettatura di origine. Per contrastare questi fenomeni, Coldiretti insieme all’Eurispes ha promosso la Fondazione “Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare”, con il procuratore Giancarlo Caselli alla guida il Comitato Scientifico della Fondazione ed il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo come presidente.

Dalla ricerca di Coldiretti risulta che la criminalità controlla in molti territori la distribuzione e talvolta anche la produzione. Ma quello che accade in Italia accade nel mondo: dove però la mancanza di regole e controlli come quelli italiani ed europei non configura come illecite azioni che da noi lo sono. Dal colonialismo delle piantagioni a scopo industriale, che per secoli hanno sottratto alle popolazioni del Terzo mondo le terre necessarie per la loro agricoltura di sussistenza, si è passati oggi al neocolonialismo delle nuove colture industriali e del land grabbing, l’acquisto di enormi estensioni nei Paesi poveri per procurare prodotti alimentari a quelli ricchi. E, soprattutto, a metodi per le coltivazioni che, anche per la mancanza di regole stringenti come quelle italiane ed europee non risultano, laggiù, illecite. Se poi l’ingresso di quelle materie prime nei nostri prodotti non è impedito da regole stringenti sulla loro origine, il cerchio si chiude ed il gioco è fatto. Ma lì come qui, a risentire della produzione di commodities a fin di business anziché di cibo per la vita, è la salute dei consumatori, a cominciare dai meno abbienti. “Anche a livello globale la partita è di natura socioeconomica”, ha affermato infatti Moncalvo. “E’ in discussione la sopravvivenza stessa delle comunità rurali nel mondo contro l’interesse di pochissimi soggetti anonimi che influiscono sui paesi più poveri. E’una questione di democrazia sulla quale porre attenzione”. Una questione sulla quale non solo Coldiretti, ma decine di associazioni, di enti non profit, di organizzazioni internazionali e fasce sempre più ampie dell’opinione pubblica mondiale sono attente e disposte a combattere.

©Futuro Europa®

Condividi
precedente

Roma, Pasolini all’Auditorium

successivo

Diritti civili e cittadinanza

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *