Viva l’Italia (Film, 2012)

Il film racconta la storia di un politico, Michele Spagnolo (Placido), che in seguito a un grave malore perde i freni inibitori, dice ciò che gli passa per la testa e diventa una mina vagante per sé stesso, per il suo partito e per la sua famiglia. Corrono a salvarlo i tre figli che poco si sopportano tra loro: Riccardo (Bova), medico integerrimo e socialmente impegnato; Susanna (Angiolini), attrice di fiction senza alcun talento, Valerio (Gassman), buono a nulla che deve tutto al padre. Proprio da qui prende l’avvio il film, una commedia che racconta il bel paese nelle sue contraddizioni, senza risparmiare niente e nessuno.

Massimiliano Bruno ha inventato un nuovo genere cinematografico: la fiction televisiva al cinema. Vogliamo dare un nome? Television – movie, potrebbe andare. Nessuno mi può giudicare (2011) è stato il primo grande successo, anticipato da alcuni lavori come sceneggiatore di film di cassetta, molto graditi al pubblico. Bruno strizza l’occhio allo spettatore, ne asseconda i gusti, non vuole stupirlo, ma si limita a confezionare prodotti che sono in tutto e per tutto fiction televisiva con la sola differenza che passano sul grande schermo. C’era una volta la farsa e adesso non c’è più, o quasi. C’era una volta la commedia all’italiana e anche quella è semi estinta, tranne sporadiche eccezioni.

Viva l’Italia non è né carne né pesce. Non è farsa perché avrebbe ambizioni alte, vorrebbe raccontare la vita facendo sorridere. Al tempo stesso non è commedia perché fallisce miseramente nel suo intento. Viva l’Italia diverte solo nei momenti dichiaratamente comici, grazie ad attori bravi come Michele Placido, Maurizio Mattioli e Rocco Papaleo, ma naufraga per tutto il resto.

Viva l’Italia è un film furbo, retorico, qualunquista, didascalico, pieno zeppo di usurati cliché e di filosofia da bar. Bruno e Falcone per dare corpo alla sceneggiatura avranno attinto ai discorsi che si fanno ogni mattina davanti a cappuccino e cornetto. I personaggi sono stereotipi monodimensionali, tutti troppo buoni, troppo cattivi, troppo scemi, troppo inetti, troppo ladri, troppo di tutto. Non solo, cambiano carattere repentinamente, passano da inetti a furbi, da ladri a pentiti, confessano in pubblico le loro mancanze, insomma, si comportano come personaggi delle fiabe. Ma il pubblico applaude, alla fine del film, e al cinema non si applaude. Non siamo a teatro. Al cinema si attende che scorrano i titoli di coda prima di alzarsi, ma nessuno lo fa, anzi è bagarre per entrare in sala e conquistare il posto migliore, come sul divano di casa.

E lì scatta la lampadina al povero cinefilo abituato a vedere film sin dai tempi di Totò. Vuoi vedere che non sono al cinema? Vuoi vedere che questo è il pubblico della televisione che per caso è venuto al cinema? Proprio così. Sono io lo spettatore intruso. Il film è destinato a un pubblico assuefatto alla fiction televisiva e io che non ne vedo dai tempi di Coralba e di Ritratto di donna velata sto messo male. In fin dei conti Bruno ha ragione: dà al pubblico quel che vuole, non fa ragionare troppo, spiega la realtà in modo stereotipato, fa sentire tutti molto intelligenti.

Non è difficile, perché il livello di mediocrità di molte sequenze – su tutte la confessione finale di Michele Placido – rasenta la stupidità e il trash involontario. Recuperate I due deputati (1969) di Gianni Grimaldi, interpretato da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Dice le stesse cose – ma le dice meglio – e le ambizioni sono da farsa. Per fortuna.

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Regia: Massimiliano Bruno. Soggetto e Sceneggiatura: Edoardo Falcone, Massimiliano Bruno. Distribuzione: 01. Interpreti: Raoul Bova, Michele Placido, Rocco Papaleo, Alessandro Gassman, Ambra Angiolini, Edoardo Leo, Maurizio Mattioli, Sarah Felberbaum, Isa Barzizza, Elena Cucci. 

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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