StArt,arte contemporanea “occupata”

Il Teatro Valle Occupato di Roma ha presentato lo scorso 2 luglio “ST ART”, la propria collezione d’arte contemporanea, risultato di due anni di occupazione, attività e soprattutto collezione. L’intento è di rimanere in linea con i progetti precedenti sempre chiari e coerenti, ma forse è proprio qui che il “palco cade”.

Il Valle ha infatti scelto degli artisti che donassero una propria opera. Fino a qui va ancora tutto bene. Perché non scegliere artisti validi? Gli artisti in questione sono però ormai affermati, ancora abbastanza giovani, ma affermati. Parliamo di artisti come Francesco Arena, Ulla von Brandenburg, Luigi Coppola, Marzia Migliora, Lara Favaretto, Flavio Favelli, Linda Fregni Nagler e Francesca Grilli.

Di loro scrivono sui giornali specializzati (Flash Art, Exibart, Artribune), La Repubblica, la Rai, tra loro c’è chi ha esposto all’illustre Palais de Tokyo di Parigi, al MACRO di Roma, al MoMA di New York, alla Biennale di Venezia. Bazzecole. La Comune e poi il Consiglio non sono stati capaci di realizzare  una collaborazione con artisti vicini al proprio percorso.

Nella presentazione generale affermano che «il fare comune è un’alternativa concreta per sottrarre le nostre vite e il nostro lavoro agli effetti della crisi e delle politiche di austerità», parlano di «artisti senza soldi», di «attuare una rivolta culturale», di «partecipare in prima persona all’autogoverno» e non delegare, di «sviluppare nuove economie fuori dal profitto dei pochi» contravvenendo alla «logica di profitto dei privati», di assicurare «l’accesso ai saperi e la qualità dei garanti».

I concetti sono inoltre rimarcati in un video in cui dicono di divenire «pezzi attivi del ciclo produttivo» per «sperimentare e costruire vere e proprie infrastrutture del welfare, agire pratiche di sottrazione dalla crisi che sono anche pratiche di costruzione comune». Quindi se «i precari autogovernano e autogestiscono», non è sbagliato pensare che gli stessi sono indicati per realizzare le opere della collezione.

I «precari» in questione sono addetti ai lavori nel settore artistico che, stanchi di come il proprio mestiere di tutto rispetto venisse poco considerato e retribuito, hanno deciso di prendersi ciò che competeva loro. Puntano allo scambio tra le arti sceniche e le arti figurative per permettere l’incontro quotidiano tra arti e cittadini.

ST ART è un’opportunità di partecipazione al capitale sociale ed è stata ideata come collezione permanente in progress che verrà di volta in volta presentata integrata dei nuovi apporti sotto la curatela di Ilaria Gianni e Cecilia Canziani della Nomas Foundation.

Del resto, anche gli autori delle opere d’arte donate sono addetti ai lavori. Era plausibile e prevedibile che, quantomeno per lo spirito di camerata, chi era già parte dell’ingranaggio chiamasse un proprio compagno, ma così non si è verificato. Chi davvero avrebbe potuto beneficiare di uno spazio espositivo, poiché totalmente sprovvisto, se lo è visto soffiare sotto il naso.

È presto perché il Valle diventi un’istituzione e non più un luogo materialmente aperto di comunità, scambio e partecipazione. Sarà che quando si agisce mossi da ideali e si arriva a occupare un luogo, la benché minima mancanza è vista come il più alto tradimento; sarà che la tendenza a diventare uno dei tanti club e istituzioni è sempre più forte nel contesto degli spazi occupati, dove si vive di  compromessi autoimpostisi; sarà che il momento degli spazi occupati ha fatto il suo corso dopo i tardi anni ’60 e i tardi anni ’90.

© Futuro Europa

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