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Contestualizzare: quando riflettere è importante

“L’economia deve servire gli interessi della nazione e non il contrario”. “Il lavoro è la base su cui si fonda l’esistenza della comunità”. “Una nazione che non produce ciò di cui ha bisogno finisce per diventare dipendente da altri”. “Il commercio e l’industria devono essere strumenti per il benessere del popolo”. “Ogni economia sana si basa sulla produttività e sull’organizzazione del lavoro”.

Chi si dichiarerebbe contrario a queste affermazioni? Difficilmente qualcuno lo farebbe. Sembrano principi ragionevoli, addirittura di buon senso. Parole che potremmo sentire in un discorso politico, in un programma elettorale, in un dibattito sulla crescita economica. Se ti azzardassi a dire che non sei d’accordo, rischieresti di sembrare ingenuo, irresponsabile o addirittura un sovversivo. Se ti opponessi all’idea che il lavoro è la base dell’esistenza della comunità, potresti essere visto come qualcuno che non crede nel valore del lavoro stesso. Se negassi che un’economia sana si basi sulla produttività e l’organizzazione del lavoro, potresti essere accusato di sostenere il caos e l’inefficienza. È il potere delle frasi apparentemente indiscutibili, la trappola del consenso sociale: concetti espressi in modo generico, apparentemente ovvi, che mettono chiunque in difficoltà nel confutarli.

Ecco il paradosso. Ti sei trovato, almeno per un momento, d’accordo nientedimeno che con Adolf Hitler. Ce ne sono molte altre assolutamente non contestabili nel suo Mein Kampf, il libro che dettò a Rudolph Hess, suo segretario durante il periodo di prigionia dopo il fallito putsch di Monaco nel 1923; il primo tentativo del futuro Fuhrer di prendere il potere.

E adesso? Questo esperimento mentale dimostra quanto sia facile essere influenzati dalle parole, soprattutto quando vengono estrapolate dal loro contesto originale. Una frase di per sé neutra può sembrare condivisibile, ma se inserita in un quadro ideologico più ampio può assumere significati inquietanti. Non è un caso che la retorica politica e propagandistica faccia largo uso di slogan semplici e apparentemente inoppugnabili. La decontestualizzazione è un’arma potente: un concetto può essere presentato in modo accattivante e persino giusto, ma le intenzioni e le applicazioni concrete possono essere tutt’altro che innocenti. Gli esseri umani sono inclini a lasciarsi trasportare dalle parole, soprattutto quando queste risuonano con i loro valori o le loro convinzioni preesistenti. Il linguaggio è uno strumento di persuasione straordinario: parole come “benessere”, “comunità”, “lavoro” evocano concetti positivi, indipendentemente da chi le pronunci.

Ma cosa succede quando ci accorgiamo che un’idea che sembrava condivisibile proviene da una fonte che rifiutiamo? Nasce un cortocircuito mentale, un fastidio cognitivo che ci mette davanti a una realtà scomoda: siamo più influenzabili di quanto vorremmo ammettere. Allo stesso modo, parole e concetti possono essere strumentalizzati e distorti per servire fini opposti a quelli originari. Pensiamo a concetti come “libertà”, “sicurezza”, “giustizia”: il loro significato varia radicalmente a seconda di chi li utilizza e con quale scopo.

Ciò che in un contesto è un principio democratico, in un altro può diventare il pretesto per giustificare repressioni e limitazioni dei diritti. Sapere che le parole possono essere ingannevoli è il primo passo per non cadere vittima della loro apparente innocuità. La prossima volta che senti una frase che sembra ovvia e incontestabile, chiediti: chi l’ha detta? In che contesto? Con quale intento? Solo così possiamo difenderci dalla manipolazione e sviluppare un pensiero critico autentico. Perché, come abbiamo visto, persino Hitler può sembrare ragionevole se lo si legge senza contesto.

Ed è per questo che ogni epoca dovrebbe essere letta con la prudenza di chi sa di non averla vissuta. Giudicare con il senno di poi è esercizio tanto facile quanto inutile: non conosci quel tempo, non ne hai respirato le ansie, non hai visto i suoi dilemmi. Criticare chi ha agito in un’epoca che non è la tua è un’illusione di superiorità morale e intellettuale. Meglio tacere, e studiare.

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