Cronache dai Palazzi

“La Costituzione, ieri come oggi, riguarda tutti da vicino”, ha affermato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella inaugurando la sesta edizione di Milano Civil Week dedicata quest’anno al tema “La Costituzione siamo noi”. Il Capo dello Stato ha puntualizzato che “è di grande evidenza l’importanza di un confronto aperto nella società civile sulle modalità di partecipazione alla vita pubblica, da svolgere attraverso un costante percorso di identificazione con la nostra Costituzione”. I “principi” della Carta Costituzionale “indicano modi di vivere che vanno realizzati, messi in pratica con l’esercizio della propria libertà e per il presente e il futuro comune di quella che viene chiamata, appunto, comunità nazionale”. In primo piano vi è la “cittadinanza attiva e solidale” che quotidianamente si concentra sulle “necessità delle persone” e “si rende conto di quanto i valori della nostra Carta siano alla base del vivere insieme”. In definitiva la nostra Costituzione rappresenta un mosaico in cui per l’articolo 1 “il lavoro è diritto, è dignità, è inclusione”. L’articolo 3 aggiunge a sua volta che “ogni cittadino ha eguale dignità, ma che lo Stato deve assicurare che venga rimosso quel che ostacola”, ha ribadito il Presidente Mattarella.

In definitiva, però, “la democrazia deve essere continuamente inverata mediante comportamenti conformi alla Costituzione, da questa ispirati”. Da qui l’appello alle nuove generazioni chiamate ad esercitare il cosiddetto “patriottismo costituzionale” mettendo ad esempio in pratica l’impegno politico.

Il Capo dello Stato, di fronte alla possibilità e all’eventualità di correggere la Carta in alcuni passaggi, ha per di più messo in evidenza che “non è al Presidente della Repubblica ma al Parlamento che la Costituzione assegna il potere di apportarle delle modifiche”. Di fronte a tale scenario, però, occorrerebbe adottare una certa prudenza. Negli ultimi tempi, ad esempio, è emersa “una tendenza a voler inserire nella prima parte della Costituzione nuove disposizioni su argomenti specifici” ma “quella sua prima parte costituisce, da settantacinque anni, un punto di riferimento sempre attuale e costante”, ha ammonito il Presidente. Nello specifico “si trascura, in alcuni casi, il fatto che quel che si vuole aggiungere nel testo è già chiaramente desumibile dalle sue norme, proprio per il carattere generale e duttile della loro formulazione; e in base ai valori e ai principi che ne rappresentano il fondamento”.

In sostanza occorre evitare di trasformare la Carta Costituzionale in un catalogo di “argomenti”. La Costituzione della Repubblica italiana non è un catalogo di argomenti. E per di più non si tratta di meri argomenti bensì dei capisaldi del nostro Stato liberaldemocratico e plurale. Il rischio è quello di banalizzare la base di valori sulla quale da 75 anni si erge il nostro sistema Paese. Nello specifico “occorre evitare il rischio di una rincorsa – che sarebbe sempre più frequente – per continui inserimenti di temi particolari”. Tutto ciò “trasformerebbe la Costituzione in un albo di argomenti”, per l’appunto, “vanificandone il senso e il ruolo”.

La nostra Costituzione rappresenta “un impianto di valori e di principi, tradotti in norme capaci di applicarsi a quanto interverrà nel corso del tempo”, ha sottolineato il Capo dello Stato, e non può essere preda di proposte estemporanee lanciate da politici e non con la pretesa di modernizzare il Paese e, nel contempo, seminando il rischio che venga trasformata in una carta degli appunti offendendo, tra l’altro, il lungimirante lavoro dei Padri costituenti.

La Carta Costituzione rappresenta “una conquista” per il nostro Paese va “difesa, vissuta ogni giorno per accogliere nuovi bisogni, per tutelare chi si trova ai margini, per avere cura dei più fragili, per affrontare le nuove sfide di convivenza e di pace”. In definitiva “nessuno può affermare che la Costituzione non lo riguarda”. Nei diritti “contenuti nella Costituzione” è racchiuso “il senso della nostra vita in comune”.

Alla luce delle suddette e illuminanti parole – concetti fondamentali da tener ben presenti nel momento in cui si governa e, in generale, si agisce e si opera per il bene comune del Paese – entra in scena la ormai impiantata riforma del premierato che suscita, fin dall’inizio, varie discussioni all’interno dello scenario politico.

La premier Giorgia Meloni, paladina del premierato, sfida opposizione e Colle e afferma che tale riforma garantisce che il Quirinale non dovrà mai più essere “supplente della politica”. Ed ancora: “La mia disponibilità al dialogo non è stata colta. Allora si esprima il Parlamento e, se non ci sarà condivisione, diamo la parola agli italiani”.

Per la presidente del Consiglio in sostanza il tempo è finito e sul premierato sembra essere pronta ad andare avanti a colpi di maggioranza. Nel momento in cui non si raggiungesse il quorum dei due terzi degli inquilini delle Camere si andrebbe a referendum; un referendum che potrebbe risultare “divisivo, come quello che nel 1946 vide vincere la Repubblica sulla monarchia”. Anche all’interno di Montecitorio il contesto in cui rilanciare la riforma del premierato – che per il governo rappresenterebbe il cambiamento – è il convegno “La Costituzione di tutti” organizzato dalle fondazioni De Gasperi e Craxi. La premier considera tale contesto una piattaforma per mettere la riforma al centro della sua campagna elettorale. Dall’altro fronte politico, l’assemblea dei senatori del Pd, a proposito di modifiche costituzionali approdate a Palazzo Madama, rende nodo che “c’è un’accelerazione sulla riforma” e si chiede di “fermare” il fiume in piena. “Un’accelerazione dettata da ragioni elettoralistiche. Usiamo i nostri corpi e le nostre voci per fare muro rispetto a questo tentativo”, ha aggiunto la segretaria dem Elly Schlein ipotizzando una manifestazione di piazza contro la riforma proprio il 2 giugno, il giorno in cui si celebra la nascita della Repubblica.

Tra i costituzionalisti Francesco Clementi ammonisce: “Non possiamo immaginare una riforma di parte e non di tutti. Puntiamo a un dibattito che punti ai due terzi. Abbiamo bisogno di partecipazione e non di polarizzazione”. La premier Meloni risponde muovendosi sull’asse destra-sinistra: “Se il Pd non ha argomentazioni e se Schlein parla di corpi da frapporre, il confronto lo vedo duro…”. Tutto ciò anche alla luce del confronto/duello televisivo tra Meloni e Schlein previsto per il 23 maggio negli studi di Porta a Porta sulla prima rete Rai. Un’ora di confronto in cui per la prima volta nella storia repubblicana le protagoniste saranno due donne. La segretaria del Pd incalzerà anche su Sanità pubblica e salario minimo, punti fermi per i dem, ai quali a questo punto si aggiungerà il premierato e un eventuale stravolgimento della Costituzione. A proposito di stravolgimento Meloni sottolinea: “Abbiamo fatto una riforma in punta di piedi che darà stabilità e che eviterà al Presidente della Repubblica il ruolo di supplente della politica, mettendo fine alle sovrapposizioni”.

Mettendo ulteriori puntini sulle ‘i’, Giorgia Meloni puntualizza: “Per me anzi portare avanti il premierato rappresenta un rischio, perché ho un governo solido. E sia chiaro, visti i tempi necessari all’approvazione, non ne beneficeremo né io né Mattarella”. Meloni, infine, non mette in conto il ballottaggio e a proposito di legge elettorale si dice aperta alle preferenze. Rivolgendosi a Schlein: “Inutile che attacchi non mi spaventa”.

Sul fronte economico – un vero e proprio fronte – le cose non sono più rosee. Il Superbonus come il Vajont. Lasciando il Senato dove è intervenuto per un’informativa lampo in Commissione Finanze, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti lancia l’ennesima metafora per cercare di giustificare una situazione catastrofica e non facile da gestire. In sostanza “la valanga” della spesa “era già partita” quando Giorgetti è arrivato a Via XX Settembre, trovandosi così a dover gestire “i disastri” generati dalla frana “quando è arrivata giù”. Ma ora è necessario fronteggiare la situazione magari alzando una diga per non far straripare, in primo luogo, l’impatto dei bonus edilizi sui conti dello Stato, assumendosi una responsabilità piena della situazione attuale, per compensare la quale, però, Giorgetti mette nero su bianco una soluzione di lungo periodo spalmando i crediti su dieci anni invece che su quattro. In sostanza l’impatto annuale sul debito sarebbe minore fino al 2027, per appesantirsi dal 2028 al 2033.

Il problema verrebbe quindi di fatto spostato più avanti negli anni, magari lasciandolo in eredita alla prossima squadra di Palazzo Chigi. Per il 2024 i credit da Superbonus ammonterebbero a circa 4-5 miliardi con un trend che non dovrebbe crescere di molto nei prossimi mesi. Ai senatori il ministro dell’Economia ha spiegato che le detrazioni fiscali relative agli interventi edilizi saranno necessariamente ripartite in dieci quote annuali di eguale importo, ma tutto ciò sarà valido solo per le spese sostenute “a partire dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge” che Palazzo Madama sta ancora esaminando. In definitiva la nuova ripartizione interesserà solo i crediti del 2024.

Per quanto riguarda gli anni precedenti intervenendo retroattivamente subentrerebbero questioni di incostituzionalità che il governo si troverebbe a dover fronteggiare, ciò che Giorgetti tira in ballo per giustificare l’impossibilità di bloccare “i diritti acquisiti di chi ha cominciato il lavoro nel 2021 e ha diritto di finirlo nel 2023, presentando le fatture”. Flop, infine, per quanto riguarda la tassa sugli extraprofitti: nessuno ha pagato. “Al momento non risultano essere pervenuti versamenti esattamente come previsto dalla relazione tecnica”, tampona Giorgetti. In definitiva, l’esposizione in Senato si è conclusa senza specificare i dettagli ne, tanto meno, il perimetro dell’operazione “Spalma-crediti” messa in campo da Palazzo Chigi cercando di costruire una diga per arginare il fiume dei conti in uscita, che rischia di far rimanere a secco le casse dello Stato.

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