Camera di Consiglio

LE SPESE ORDINARIE E STRAORDINARIE IN FAVORE DEI FIGLI – Il caso in esame trae origine da una sentenza di divorzio tra due genitori, la quale, tuttavia, non recava alcuna previsione con riferimento alle spese straordinarie da corrispondersi per il figlio minore affidato ad entrambi i genitori.

Il Tribunale, dunque, condannava il padre a rimborsare la metà metà degli esborsi sostenuti negli ultimi anni a titolo di spese straordinarie, per il figlio. Secondo il Tribunale, infatti, non potevano rientrare nelle spese ordinarie le spese per libri scolastici e per corredo scolastico, i viaggi di istruzione, le spese di iscrizione scolastiche, le tasse universitarie e le spese connesse (quali canoni di locazione e trasporto) che, pertanto, dovevano essere sostenute da entrambi i genitori, ancorché non preventivamente concordate, in quanto non preventivabili e quantificabili a monte.

Il padre proponeva appello che veniva parzialmente accolto. Secondo la Corte distrettuale, infatti, dovevano intendersi quali spese straordinarie quelle che, per la loro rilevanza, imprevedibilità ed imponderabilità rappresentano qualcosa di diverso dall’ordinario regime di vita dei figli. Tanto premesso, secondo la Corte d’Appello non sarebbero rientrate nella nozione di spese straordinarie quelle scolastiche e quelle relative alla frequenza di una università privata in sede lontana da quella di residenza, alla luce del livello scolastico ed economico dei genitori e della famiglia.

Allo stesso modo, la Corte escludeva il carattere straordinario delle spese mediche effettuate per delle analisi, le spese sportive e di corsi di musica, aggiungendo che comunque non si trattava di importi tali da poter qualificare gli esborsi come straordinari, anche in relazione al tenore di vita familiare.

La madre ricorreva per Cassazione sulla base di un unico motivo di censura, rappresentando che la Corte d’Appello avrebbe errato nel ritenere “spese straordinarie” quelle che in realtà non lo erano sulla base del fatto che venivano ritenute prevedibili poiché i genitori erano due professionisti e di buona famiglia.

La Suprema Corte riteneva il ricorso fondato: riprendendo costante ed univoca giurisprudenza argomentava come la Corte medesima avesse ha già chiarito che, in materia di spese straordinarie, occorre in via sostanziale distinguere tra esborsi che sono destinati ai bisogni ordinari del figlio e che, certi nel loro costante e prevedibile ripetersi, anche lungo intervalli temporali più o meno ampi, anche se incerti nel loro ammontare, costituenti le spese ordinarie da quelle straordinarie. Queste ultime, infatti, vanno considerate tali poiché “imprevedibili e rilevanti nel loro ammontare, in grado di recidere ogni legame con i caratteri di ordinarietà dell’assegno di contributo al mantenimento” e che “richiedono, per la loro azionabilità, l’esercizio di un’autonoma azione di accertamento, in cui convergono il rispetto del principio dell’adeguatezza della posta alle esigenze del figlio e quello della proporzione del contributo alle condizioni economico-patrimoniali del genitore onerato”.

Secondo la Suprema Corte, dunque, le spese relative alla retta di una università privata lontana dal luogo di residenza, i viaggi e la locazione di un immobile per la frequentazione delle lezioni rappresentano una vera e propria spesa straordinaria, in virtù della loro rilevanza, oltre che della loro imprevedibilità, anche alla luce del fatto che il figlio all’epoca del divorzio aveva sei anni.

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