Terre rare, un’arma impropria nell’arsenale cinese

Si è accesa una spia rossa che dovrebbe far meditare l’Unione Europea. Due cose sono ormai evidenti. La prima è che la transizione green e l’high tech innescheranno una domanda esponenziale di materie prime critiche. Parliamo qui delle cosiddette terre rare ma anche di litio, di cobalto, di nichel, e di altri minerali.

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia per raggiungere gli obiettivi climatici fissati dall’accordo di Parigi sarà necessario che da qui al 2040 la domanda di terre rare aumenti di sette volte. Ma la domanda di litio nello stesso periodo dovrà aumentare di 42 volte.

La seconda questione è che non possiamo nasconderci il fatto che, al momento, più l’Europa spinge sulla transizione green e più diventa dipendente dalla Cina. Basti pensare che quasi il 70% della produzione di metalli e terre rare è in Cina: l’80% di quello che sta dietro un’auto elettrica oggi è cinese. La Cina oggi Controlla il 94% dei magneti utilizzati nel settore dell’automotive e domina il settore dei pannelli solari.

La Cina ha candidamente annunciato che dal primo agosto per motivi di sicurezza nazionale le esportazioni di germanio e gallio saranno sottoposte a specifiche autorizzazioni da parte dell’autorità cinese. Inutile dire che si tratta di materie prime strategiche in quanto indispensabili nella produzione di semiconduttori nella difesa, nella medicina nucleare, nelle telecomunicazioni. Ed è inutile dire che, secondo uno studio della Commissione europea, l’83% della produzione di germanio e il 93% della produzione di gallio è, appunto, cinese. La prima considerazione a riguardo è che non si tratta, al momento, di una limitazione all’export, non si tratta di una violazione di contratti internazionali dal punto di vista commerciale, e non si colpiscono specifici Stati.

Tuttavia, è indubbio che la mossa cinese costituisca un forte campanello di allarme in quanto la Cina si riserva, da oggi, una forte discrezionalità nelle esportazioni di gallio e germanio che potrebbe essere negato ad una specifica nazione o ad una specifica azienda. La seconda considerazione è che con questa mossa, come ampiamente temuto, la Cina ha iniziato a trasformare questa sua posizione dominante in un’arma economica di pressione da inserire nel proprio arsenale a fianco alle armi vere e proprie e alle armi di natura finanziaria. E la guerra in Ucraina, ahimè, ha dimostrato che spesso queste armi improprie di natura economica e finanziaria sono anche più efficaci delle armi vere e proprie.

Dunque, l’Unione Europea non dovrebbe per nulla sottovalutare questi segnali che arrivano dall’Oriente e deve accelerare il passo verso una maggiore indipendenza nei settori strategici. Anche perché un precedente esiste già: nel 2010 la Cina bloccò completamente l’esportazione di terre rare verso il Giappone per una disputa sulle sconosciute isole Senkaku. Pensate a cosa potrebbe accadere in caso di gravi tensioni a Taiwan.

[NdR – Fonte Teleborsa.it che si ringrazia per la collaborazione – Andrea Ferretti è docente al Master in Scienze economiche e bancarie europee LUISS Guido Carli]

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