Guerra Fredda, mezzo secolo di tensione

Il 16 aprile del 1947 venne utilizzata per la prima volta la locuzione Guerra Fredda per indicare lo status di costante tensione politica e militare iniziato di fatto al termine della Seconda Guerra Mondiale e durato fino alla caduta del Muro di Berlino nel 1989 e al successivo dissolvimento dell’URSS.

Senza mai dare voce alle armi, ma sempre sul piede di guerra, i due grandi blocchi politici del mondo, l’Unione Sovietica e i suoi stati satellite da un lato e i Paesi del blocco occidentale guidati dagli Stati Uniti dall’altro, si sono contesi l’influenza politica, economica e militare in tutto il mondo.

Fu il politico e uomo d’affari statunitense Bernard Baruch a inventare una definizione che rende perfettamente l’idea di quella che era la situazione tra i due blocchi rappresentati dalla NATO e dal Patto di Varsavia.

Il conflitto era, di fatto, basato sulle diverse ideologie portate avanti dai due Stati leader: da un lato il liberismo e il capitalismo statunitensi; dall’altro il sistema comunista-socialista di cui l’URSS si riteneva il depositario e difensore.

Baruch può essere considerato l’antesignano di Henry Kissinger; già tra i più grandi broker di Wall Street, entrò negli ambienti politici quando venne chiamato come consigliere dei presidenti diplomatici Woodrow Wilson e, anni dopo, Franklin Delano Roosevelt. Il primo lo fu nominò presidente dell’organismo incaricato di organizzare l’economia di guerra statunitense durante il primo conflitto mondiale, mentre il secondo lo incaricò di redigere un piano per giungere al disarmo in materia di armi atomiche, Baruch aveva quindi le competenze e l’autorità per definire il contesto che si era determinato con lo scontro ideologico che minacciava di trasformarsi in militare.

Riuscì comunque a predisporre un piano (appunto definito “Piano Baruch”) che venne rifiutato dai sovietici, provocando le ire di Roosevelt che vide anche respingere le sue idee sulla futura politica relativamente a Iran, Turchia e Grecia dove, contemporaneamente, si combatteva una guerra civile tra due fazioni di cui una comunista e l’altra di matrice anticomunista.

Anche in Italia la situazione era di tensione tra le anime che avevano combattuto unite contro il comune nemico nazifascista ma che, al termine del conflitto, fecero emergere le loro differenze ideologiche. Ovviamente erano profonde anche le differenze di vedute sul destino della Germania; inevitabile quindi che si giungesse a quell’irrigidimento di posizioni che si è protratto fino al crollo dell’URSS.

Durante gli oltre quarant’anni di tensione si sono succeduti più presidenti americani che tentarono di affrontare un problema che si stava espandendo su altri scenari; anche la Guerra del Vietnam mosse dalle stesse basi ideologiche e posizioni. Sotto la presidenza Kennedy si giunse al punto più vicino all’esplosione di un conflitto nucleare. Nixon mise le basi per la distensione e, finalmente, Reagan, con l’indispensabile collaborazione di Margaret Thatcher, portò all’implosione del sistema sovietico che, nel frattempo, dopo Stalin, aveva visto segretari di partito cercare di difendere il loro sistema non esitando a ricorrere ai Gulag e alla repressione del dissenso come accadde a Budapest e Praga.

Gorbaciov, ultimo segretario del PCUS, la carica che di fatto dava il potere sull’intera nazione, ereditò da Konstantin Černenko un paese al collasso economico. La caduta del Muro di Berlino, chiesta nella stessa capitale tedesca prima da Kennedy e poi da Reagan, è l’evento simbolo della fine di quasi mezzo secolo di tensione.

Una guerra vinta dagli Stati Uniti e dal blocco occidentale? Difficile da dire si si possa considerare una reale vittoria; certo è che il patto di Varsavia si rivelò un fantoccio di fatto gestito da Mosca, mentre la NATO ancora esiste e sui suoi territori europei non si sono più registrati conflitti. E l’Europa era stata scenario di guerre fin dal Medio evo.

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