Tra astensionismo e mancanza di partiti

Inutile ricordare tutti i morti in rivolte di piazza, disordini e rivoluzioni per ottenere la libertà e tutti coloro che, anche adesso, combattono contro regimi oppressivi. Pleonastico parlare dell’importanza del diritto al voto e che è il nostro ultimo baluardo per proteggere la democrazia e non correre rischi di essere le prossime vittime di un nuovo aspirante dittatore. E anche inutile invitare a leggere programmi politici futuri e comparare i risultati di chi precedentemente ci ha governato a livello nazionale o locale.

L’astensionista resta fermo sulla sua posizione: “Io a votare non ci vado”. Le ragioni? Iniziano da “Tanto non serve a niente” a “sono tutti ladri allo stesso modo”; passiamo a “il mio voto non cambia nulla” a “è il mio modo di esprimermi”. Possiamo aggiungere altre migliaia di ragioni più o meno valide, più o meno ragionevoli. Il risultato non cambia.

La scorsa settimana il calo di votanti alle regionali di Lazio e Lombardia, la regione della capitale politica d’Italia e di quella economica, ha dell’imbarazzante. Cittadini disinteressati o menefreghisti hanno lasciato a meno della metà di chi poteva farlo, decidere chi sarà a governarle.

Gli assenti hanno sempre torto, e questo non si discute, ma le solide maggioranze che hanno riportato una incontestabile vittoria, non possiamo dire che rappresentino l’intero corpo elettorale, bensì una sua minoranza.

Dal proprio punto di vista il Centrodestra sottolinea come il risultato rafforzi il governo e sia indicativo di una direzione che ha preso l’elettorato dopo le esperienze dei governi a trazione Cinque Stelle. Questi ultimi dovranno riflettere probabilmente sulla loro stessa ragione di essere, nonostante le parole di Conte ancora arroccato sulle posizioni che portarono ad una vittoria elettorale frutto di un voto di pancia e non certo ragionato.

Il PD vive ancora una volta le sue contraddizioni in attesa di sapere chi sarà il prossimo Segretario dopo i risultati ottenuti negli ultimi anni che. In questo momento, chiunque esca vincitore dal prossimo Congresso ha maggiori possibilità di essere l’agnello sacrificale delle prossime tornate elettorali contro un Centrodestra che, nonostante le evidenti spaccature e differenze interne, si è presentato compatto al voto.

Il PD, che insiste a volersi proporre oggi come prima forza di opposizione e, forse, un domani come alternativa di governo, purtroppo non riesce a liberarsi da catene del passato che lo legano a posizioni demagogiche e di bandiera. La sua dirigenza si è allontanata da quella base della sinistra che era il contatto con l’elettorato nelle Case del Popolo, nelle fabbriche, nella scuola che erano l’essenza del vecchio Partito Comunista. Parlando di argomenti importanti, come immigrazione, integrazione, discriminazioni, i suoi leader si sono dimenticati di parlare a chi con difficoltà lavora e a fatica raggiunge la fine del mese.

Diamo atto che Giorgia Meloni ha saputo cogliere le esigenze degli elettori anche con strategie accattivanti e, sicuramente, ben studiate. Ma la sinistra non può guardare il futuro se ha paura di abbandonare Peppone e Bandiera Rossa.

Adesso, però, è dovere di tutti i partiti lavorare sul problema dell’astensionismo, del disinteresse e del menefreghismo dell’elettorato. Non è facile. Premesso che non esistono veri politici che possano offrire un bagaglio di idee e cultura, ma ci si basi sulle emozioni del momento e un linguaggio più da social che non da vero candidato, l’elettore di oggi non è facile da attirare. Distratto dai problemi personali, da internet, dal calcio e da Sanremo, non sembra abbiano molta voglia di perdere il loro tempo ad ascoltare aspiranti candidati che, ad onor del vero, parlano per proclami e non con programmi.

È forse proprio internet una delle cause dell’astensionismo? Troppa informazione o informazione fatta male? Saranno demandate le decisioni a Internet? Forse un passo avanti verso l’algocrazia.

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