Viva Sanremo

Forse l’eccesso sta un po’ stufando. Forse si cerca di tornare a una normalità, magari modificata. Sanremo è ancora in corso e vedo i primi sintomi di questi cambiamenti. Intanto, si è per fortuna lasciato in soffitta il look straccione, quello delle giacche prestate e delle scarpe spaiate. Molto gettonato il bianco, quasi a voler evocare purezza e ordine, salvo poi invece far pensare ai cari vecchi gelatai.

Il luccichio è stato dominante: bellissimi alcuni, altri pubblicità della Domopak e trattati un po’ come i fratelli scemi quegli anziani sui trampoli che cantano in falsetto.

Poi, la canzone, quella che dovrebbe essere la vera protagonista, davvero in affanno. Testi brutti, urla scomposte, tonalità acutissime. Un ragazzetto provato dalla vita che spacca tutto per promuovere il suo disco e che, meno male, viene fischiato dal pubblico. Uno scemetto che invece di studiare trasmette messaggi orrendi ai suoi coetanei tipo “non ti sta bene? Spacca, magari prendi un randello”; poi come possiamo meravigliarci se alcuni adolescenti litigano e buttano il compagno sotto ad un treno? Oppure si accoltellano per questioni di ragazze? Una volta la crescita era cadenzata da sani scapaccioni: da un po’ di anni non è corretto farlo, poco educativo dicono i grandi esperti: il risultato di una generazione di falliti incavolati è davanti ai nostri occhi.

Poi le donne, le co-conduttrici. La Ferragni è brava ma a me non piace la sua voce troppo milanese, troppo sciura, e la sua postura gobba e voler per forza dare significato a tutto, anche alle mutande.

Abiti brutti ma da interpretare. Boh, un abito è un abito. “Pensati libera” che vuol dire? Sono anziana per queste raffinatezze. E comunque in mezzo a tutti questi giovani, i migliori sono i vecchi. Morandi con l’aria di stare nel tinello di casa sua, lo sguardo sempre stralunato a controllare tutto a parlare con tutti; poi i suoi magnifici compagni: Ranieri e Al Bano.

Un trionfo: hanno cantato faticando non poco i loro vecchi successi che tutta, proprio tutta la sala dell’Ariston sapeva a memoria. Hanno scaldato gli animi. Mi domando se tra trent’anni qualcuno ricorderà non dico le parole ma almeno il titolo di una canzone di Ultimo o Madame e compagnia bella.

Quei tre vecchietti hanno ravvivato tutto, hanno riportato la canzone di nuovo a essere protagonista. Alla faccia delle nuove leve. “Tiè, prendete e imparate” era la frase sottintesa nell’aria rivolta ai giovani.

Ora attendiamo, come l’alba di una nuova era, la finale del Festival.

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